Home > Tel Aviv, 7mila "no" a Olmert
Dazibao Guerre-Conflitti medio-oriente Michele Giorgio
Pacifisti in corteo nella città israeliana. Arabi e intellettuali in prima fila. Non c’è Peace now, che s’è inventato la "guerra giusta"
di Michele Giorgio Inviato a Tel Aviv
Sono arrivati in Viale Ben Zion alla spicciolata, da ogni parte di Israele, immergendosi nell’afa asfissiante di Tel Aviv mentre il sole scendeva verso la linea dell’orizzonte, per affermare che la guerra deve finire subito, che il massacro quotidiano di civili deve terminare, che uno scambio di prigionieri tra Libano e Israele è legittimo e, soprattutto, per chiedere che Israele non si opponga ulteriormente a riprendere i negoziati con la Siria, il Libano e l’Autorità nazionale palestinese.
Prima poche centinaia giunti da vari punti della città, poi, quando sono arrivati gli autobus da Gerusalemme, da Bersheva, dalla Galilea, dal Neghev, e quelli dei partiti Hadash e Tajammo, sono diventati 6-7mila. Eppure quella di ieri sera è stata la manifestazione più ampia organizzata dai movimenti pacifisti israeliani da quando il governo Olmert ha lanciato la sua offensiva militare contro il Libano. Senza dimenticare il coraggio umano e politico di chi ha scelto di scendere in piazza ad urlare il no ad una guerra che è appoggiata massicciamente dall’opinione pubblica.
Tanti volti conosciuti tra i manifestanti, quelli dei politici e degli attivisti più noti, ma anche di tante persone qualsiasi che non accettano la logica dell’uso della forza come soluzione dei conflitti. Davanti a tutti Uri Avnery, Mohammed Barakeh e personaggi che non partecipavano da lungo tempo alle dimostrazioni pacifiste - come le ex parlamentari Naomi Khazan e Yael Dayan - seguiti da militanti e simpatizzanti del movimento arabo-ebraico Taayush, di Gush Shalom, di Yesh Guvul, dell’Alternative Information Center e tanti altri. Gruppi e associazioni piccole ma da sempre in prima linea nella difesa dei diritti.
Tra i pacifisti un abitante della periferia di Haifa, al quale i katiusha hanno danneggiato l’abitazione, che ha preso la parola per condannare l’attacco al Libano. Bandiere e striscioni contro i massacri in Libano e il lancio dei katiusha, sono avanzati da King George fino a Piazza Magen David. Tra i vessilli mancavano quelli di Peace Now. Il movimento che 24 anni fa seppe portare a Tel Aviv oltre 400 mila israeliani, a quel tempo il 10% della popolazione del paese, per chiedere la fine immediata dell’invasione del Libano, ha proclamato nei giorni scorsi la sua adesione alla linea di Olmert e del ministro della difesa (laburista) Amir Peretz.
Per Peace Now il massacro al quale stiamo assistendo è una «guerra giusta». Una posizione che sorprende solo in parte perché Peace Now in passato aveva giustificato le guerre americane all’Iraq del 1991 e del 2003 ma che fa male lo stesso perché esclude la partecipazione alle proteste contro l’offensiva in Libano di decine di migliaia d’israeliani non legati alla sinistra più radicale. «L’atteggiamento di Peace Now e dei laburisti di Peretz, spiega fin troppo bene il malessere di questa società che si nutre della propaganda del governo.
Le migliaia di persone che abbiamo qui a Tel Aviv comunque ci dicono che non tutto è perduto e che si può ancora lavorare per fare chiarezza su ciò che sta accadendo», ha detto con la consueta irruenza lo scrittore Yitzhak Laor, che alla manifestazione ieri è andato con il figlio di 11 anni, Yossef. Laor fu tra i promotori 24 anni fa della enorme manifestazione di Tel Aviv contro l’invasione del Libano. «Il punto è che questo attacco (israeliano) al Libano non è sproporzionato come affermano molti, qui e in Europa, ma un crimine di guerra orrendo che deve essere denunciato e condannato.
Non vedo in quale altro modo si potrebbero definire le distruzioni sistematiche delle infrastrutture libanesi e le stragi quotidiane di civili». D’altronde anche la storica manifestazione di Tel Aviv fu possibile solo perché i laburisti a quel tempo non erano al governo e cavalcarono l’onda dello sdegno popolare per attaccare il governo. «La crisi della sinistra sionista è cominciata molto tempo fa e si è risolta con la morte di buona parte di questo schieramento politico che oggi ondeggia tra centro e destra, approva la guerra e scelte di Peretz e considera Olmert un buon primo ministro», ha aggiunto lo scrittore.
Importante la presenza ieri di decine di abitanti di Shefhamer, dove esattamente un anno fa un estremista israeliano, vestito da soldato sparò in un autobus facendo morti e feriti. «I morti libanesi di Qana, quelli di arabi a Tarshiha e Majdal Krum e quelli ebrei ad Haifa e Nahariya sono vittime innocenti della escalation che ha voluto a tutti i costi il governo Olmert», ha detto Maher Kias, della delegazione di Shefhamer.
In serata la tensione si è fatta più alta in Piazza Magen David, troppo piccola per poter contenere migliaia di manifestanti e presidiata da ingenti forze di polizia. A poche decine di metri, un centinaio di persone che sventolavano bandiere di Israele, rivolgendosi ai pacifisti ha scandito: «Traditori, servi degli arabi, meritate il carcere».