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Si moltiplicano, negli ultimi giorni, atti repressivi
Publie le sabato 11 ottobre 2003 par Open-Publishinghttp://www.liberazione.it/giornale/031010/LB12D692.asp
Si moltiplicano, negli ultimi giorni, atti repressivi e valutazioni
governative che meritano attenzione e interpretazione non generiche e
continuiste. Stanno arrivando al pettine, penso, i nodi dello «stato penale
di guerra». Agamben parla di permanente «stato di eccezione». Si sgranano in
poche ore, atti che si accavallano. Ricordo solo tre tipologie: le denunce e
gli arresti domiciliari per il 3 e 4 ottobre; ma, ancor più, la repressione
breve e violenta contro "Action" a Roma (si tratta dell’agenzia comunitaria
dei diritti che organizza l’occupazione di immobili in cui vanno a vivere
sfrattati, immigrati, ragazze madri, precari, disoccupati); penso anche ai
procedimenti penali e agli arresti dei disoccupati organizzati a Napoli.
Sembrano atti repressivi diversi, ma rispondono ad un unico disegno. Le
parole del ministro Pisanu di due giorni fa si incaricano di fornire una
trama di lettura: «Cresce il bisogno di moderazione, nutrimento
indispensabile anche per consolidare lo stesso sistema bipolare». Questo
significa che ogni criticità radicale, ogni percorso di alternativa è
emarginato da una concezione della statualità che si alimenta della identità
centrista dell’alternanza che segna, essa stessa, il confine tra la
moderazione e l’estremismo, fra il legittimo e l’illegittimo. Ma,
soprattutto, più avanti il ministro dice: «Per nessuna ragione possiamo
sottovalutare i rischi gravi che derivano da una vera e propria illegalità
politica diffusa». Qui è anche di noi che si parla se è vero che i pilastri
su cui il movimento (di cui siamo parte) cresce sono non violenza,
pluralismo, ma anche radicalità e disobbedienza.
E’ evidente che le pratiche della disobbedienza parlano del rifiuto della
legalità formale e della riscrittura dei codici di liceità. L’azione diretta
(dall’occupazione di casa, alle autoriduzioni, alla lotta per il lavoro,
ecc.) mette a nudo, nella narrazione dei grandi conflitti sociali, proprio
la contraddizione tra equità sociale e legalità e allude alla costruzione di
un nuovo diritto. A suo modo, il vecchio Marx parlava di «diritto
diseguale». La mia preoccupazione cresce quando leggo le motivazioni delle
azioni repressive contro le occupazioni di case a Roma: mentre le
occupazioni ci parlano del tentativo di immaginare persino un’altra città,
un’altra urbanistica, la motivazione repressiva scrive: «Action è una
associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro
il patrimonio immobiliare».
Nei confronti dei disoccupati organizzati di
Napoli lo schema è identico, anzi infamante: essi diventano un’associazione
a delinquere di stampo camorristico. Cosa accomuna queste motivazioni? Il
fatto che vengono identificate quali associazioni a delinquere quelle
organizzazioni che praticano azione diretta per strappare, con il conflitto,
risultati all’istituzione. L’organizzazione del conflitto che riesce a
condizionare i processi decisionali delle istituzioni diventa "associazione
a delinquere". E’ un corto circuito: è la lotta di classe contemporanea
nelle forme contemporanee di movimenti diffusi, ad essere rappresentata come
atto delinquenziale. Non a caso, Vito Nocera, il segretario regionale
campano di Rifondazione comunista, è sotto inchiesta per intercettazioni
telefoniche di colloqui con dirigenti dei disoccupati organizzati che
parlavano di obiettivi della lotta stessa. Siamo tutti "intercettati", tutti
inquisiti. Il reato si chiama lotta di classe.
Gli accenni di questo salto
di qualità erano già nell’ordinanza di Cosenza che portò all’arresto dei no
global meridionali. La realtà è che entrano in vigore gli armamentari
emergenzialisti costruiti come apparati normativi soprattutto dopo l’11
settembre: «stati di eccezione» contro il terrorismo che diventano, come
sempre elementi permanenti della governabilità della borghesia in crisi. Il
centro sinistra, in verità, non solo non ha contrastato ma ha avallato. E le
nuove normative europee fanno dell’Europa uno spazio giuridico
emergenzialista in cui, per esempio, espressamente l’occupazione di case ed
altre forme conflittuali sociali sono assimilate ad atti di terrorismo.
Viviamo, credo, un nuovo laboratorio repressivo. Vale la pena di prestare un
po’ di attenzione in più.