Home > Oltre l’unidirezionalità del progresso
Ammettendo l’uomo la natura ha commesso molto più di un errore di calcolo: un attentato a se stessa. Émile M. Cioran
di Michele Bono
La razionalità scientifico-matematica applicata a tutti i campi della tecnica ha favorito in questo secolo un enorme progresso tecnologico e migliorato la qualità di vita degli individui. Questo è il dogma dell’espansionismo capitalistico occidentale, un dogma austero ed inconfutabile. Un’espressione che sembrerebbe negare ogni possibilità di critica.
Il Dio Progresso è sostanzialmente l’opposto dello Spirito Assoluto hegeliano, una concezione dell’esistenza materialistica contro una spirituale; due idee che si auto-evolvono, immanenti a se stesse ed autonome; antipodi ermeneutici della storia e del ruolo dell’uomo nell’universo dell’essere.
Scientismo contro Umanesimo, spiegazione contro interpretazione, materia contro spirito. La differenza fondamentale e fondante tra questi due approcci antinomici sta nel concetto di contraddizione, principio cardine nella Filosofia dello Spirito, inesistente nell’evoluzionismo tecnologico contemporaneo.
Hegel sosteneva che ogni totalità sociale in un determinato periodo storico fosse caratterizzata da una sorta di principio interno semplice che ne costituisse l’essenza. La caduta in contraddizione di questo principio generava la famigerata auto-evoluzione dell’idea, il cui culmine era lo Spirito Assoluto, ovvero la manifestazione dell’universale legata alla dimensione dell’oggettività, l’esteriorità del mondo politico e storico.
Un’intuizione di tale genialità giustificava un sistema filosofico finalizzato all’esaltazione dell’essere puro, della ragione come strumento divino in un corpo mortale. Lo spirito Assoluto è la ragione universale infinita che diviene consapevole di se stessa. È la celebrazione della filosofia come strumento della ragione umana finalizzato alla comprensione dell’unità del reale, totalità organizzata all’interno del complesso rapporto dialettico tra gli opposti, quel fluire del negativo nel positivo che, attraverso la contraddizione, è matrice di verità universale.
Un esempio per comprendere: il principio organizzatore interno alla Romanità è, secondo Hegel, la soggettività, concetto che il diritto romano traduce nella soggettività giuridica astratta. In questo modo il principio spirituale entra in contraddizione, perché l’astrazione non permea l’individuo nella sua essenza e così la romanità stessa viene a cadere. Il medioevo si farà carico di raggiungere la soggettività individuale attraverso i valori della cristianità. L’idea si auto-evolve. La storia è un processo lineare il cui apice è l’universalità della ragione, simboleggiata dalla filosofia.
Di contro a questa visione senz’altro affascinante della realtà, concepita come un tutto spirituale che si comprende e completa attraverso la ragione, grazie a manifestazioni trascendenti come arte, religione, filosofia ed etica, la legge del Dio Progresso sposta l’ago della bilancia verso la materia. La storia si riduce all’evoluzione lineare del progresso tecnologico, che in termini pratici e filosofici è tradotto come dominio sulla natura. Ma dominio a quali scopi? Governato da quali regole?
Il positivismo tipicamente novecentesco concepisce la natura come un tutto che l’uomo deve sfruttare per migliorare le proprie condizioni di vita. La razionalità matematica applicata alla tecnica è lo strumento del dominio. L’evoluzione tecnologica raggiunge negli ultimi decenni risultati inimmaginabili, ed ecco che il piccolo essere umano smette di vedersi come una minuscola parte di una totalità infinita e si mette al centro dell’universo. Tutto ruota in funzione dei suoi bisogni.
In due secoli si passa dal telaio a vapore alla conquista della luna, la necessità di un dispiegamento d’energia sempre maggiore richiede uno sfruttamento del pianeta direttamente proporzionale al soddisfacimento dei bisogni umani in continuo aumento. Si passa quindi al petrolio, miscela combustibile che garantisce migliori prestazioni del vecchio carbone, poi all’idrogeno liquido; si passa dai conduttori semplici, come il rame, agli optoelettronici, come il laser, poi alle fibre ottiche. Risultato: la velocità d’azione e di scambio di informazioni
si moltiplicano esponenzialmente, lo spazio ed il tempo si comprimono, ma si saturano.
Uno sviluppo cieco di questa portata trascende i bisogni primari dell’uomo, ne crea di secondari e terziari in nome di un progresso che diventa pian piano fine a se stesso, monopolio delle oligarchie del pianeta, costrette ormai a tenere il passo della tecnologia fabbricando armi e favorendo guerre per costruire la pace. In breve, il mondo intero cade nel paradosso e contemporaneamente nella disperazione. I quattro quinti della popolazione mondiale vivono nelle sofferenze più atroci per mantenere il restante quarto; le risorse del pianeta subiscono un logorio insostenibile, tanto che i ghiacciai iniziano a sciogliersi, i mari a salire, le foreste a sparire, le montagne a franare e molte specie viventi a morire; la cultura scompare, o meglio si comprime anch’essa, scadendo a gadget pubblicitario da televendita.
Basta accendere la regina televisione per accorgersi del disastro, proprio quella televisione che è lo strumento del potere per ottundere il pensiero dell’opinione pubblica e controllarla: guerre, morti, disastri ambientali, programmi da decerebrati, sogni ed illusioni a buon mercato che alimentano desideri materiali insignificanti, politici di gomma che non vanno mai in pensione, radicalismo religioso ed intolleranza generalizzata. È forse questo il miglioramento che ci si auspicava grazie all’evoluzione tecnologica o c’è ancora di peggio?
L’ideologia del progresso è l’abito ripulito del potere dominante, che -a differenza del buon Hegel e del suo sistema filosofico-spirituale idealista- non accetta la negatività costruttiva della critica. Un dogmatismo tirannico che rifiuta la contraddizione perché ha come fine il controllo dell’individuo, ormai ridotto a consumatore lobotomizzato. Uno sbilanciamento unidirezionale verso il positivismo così forte da creare un cortocircuito esistenziale di proporzioni inimmaginabili.
Credo che la conciliazione degli opposti sia una risorsa dialettica divenuta ormai imprescindibile per la salvezza del nostro pianeta. Lo spirito, per svolgere serenamente le proprie attività, ha sicuramente bisogno della scienza, perché entro certi limiti il progresso è realmente lo strumento del miglioramento delle condizioni esistenziali umane. Ma l’evoluzione tecnologica ha bisogno di un’etica che ne governi gli sviluppi, altrimenti siamo tutti destinati, nel breve o medio periodo, alla distruzione.