Home > L’Italia che non vogliamo
La festa per la vittoria riserva spiacevoli sorprese. Croci celtiche, svastiche sui muri, cori fascisti. Purtroppo anche Buffon è coinvolto. E non è la prima volta
di Emiliano Sbaraglia
Ieri abbiamo commentato la vittoria della Nazionale di calcio con un velato (forse non troppo) ottimismo, probabilmente sulla scia degli entusiasmi collettivi che non hanno risparmiato nessuno, dal Presidente della Repubblica all’ultimo dei tifosi. Abbiamo parlato dell’Italia che vogliamo, dell’Italia dei Grosso e dei Pessotto, e di una squadra che grazie all’unità e la voglia di fare bene è riuscita a superare ogni asperità, malgrado o magari proprio perché in attesa di giudizio, quello della corte riunita a Roma per il maxi-processo di Calciopoli. Ma il “day after” caratterizzato da una intera giornata di festeggiamenti, iniziati nella notte di domenica e culminati, nella serata di lunedì, con l’arrivo dei nostri eroi nel sontuoso approdo di un Circo Massimo invaso da almeno un milione di persone, ci ha purtroppo tristemente ricondotti alla realtà.
Le prime stonature sono partite proprio da lì, da quel palco attrezzato per l’occasione, dove i giocatori italiani a un certo punto non hanno saputo fare niente di meglio che ripetere, sulle note di “Bella Ciao”, la frase “e chi non salta - è un francese”, francamente poco accettabile quando arriva dai cori di una curva, figuriamoci se ripetuta dai giocatori stessi.
Tra gli striscioni esposti nel corso della festa, alcuni poi recitavano scritte non propriamente simpatiche: dal sibillino “Che schiava di Roma Iddio la creò” al contorto “Sigh Heil”, con evidente errore terminologico (andrebbe scritto “Sieg”), chissà se volontario oppure dovuto a una scarsa conoscenza della lingua tedesca. Sicuramente, chi lo ha scritto a modo suo si mette in luce come conoscitore della peggiore pagina di storia del Novecento, rievocata chissà perché nel giorno del ringraziamento mondiale italiano. Un enigma, questo, che potrebbe esserci svelato dall’estremo (è il caso di dirlo...) difensore più forte al mondo, Gianluigi Buffon.
Dopo aver indossato in tempi passati una maglia con un doppio otto, che nella numerologia nazista richiama alla lettera l’iniziale del saluto al fürher (Heil Hitler!), più recentemente il portiere nazionale si era distinto per aver ammesso davanti alle telecamere di non sapere cosa rappresentasse storicamente e ideologicamente l’epiteto “Boia chi molla”, anche se sulla T-shirt lo aveva scritto di suo pugno con un pennarello.
Nel corso dei festeggiamenti di lunedì sera, a un certo punto, Buffon ha invece pensato bene di portarsi via un lenzuolo firmato “Gruppo Fidene” e siglato con tanto di celtica, che recitava “fieri di essere italiani”. Se tre indizi fanno una prova, al distratto Buffon bisognerà regalare un buon manuale di storia, da leggere durante il suo meritato riposo estivo.
C’è poi il finale col botto, quasi certamente regalatoci da quei buontemponi che, terminata la kermesse del Circo Massimo, si sono aggirati per tutta la notte nelle stradine del centro, canticchiando strofette poco cortesi nei confronti di Zidane e famiglia (forse non troppo lontane da ciò che il fuoriclasse franco-algerino deve aver sentito uscire dalla bocca di Materazzi), intervallate dallo slogan “duce-duce” urlato così, senza senso, tanto per gradire. Si trattava nella maggioranza dei casi di giovanissimi appena maggiorenni, neanche tanto consapevoli del significato di quello che stavano sbraitando. Il che, naturalmente lontano dal giustificare, rende tutto ancora più preoccupante. Per ulteriori informazioni, rivolgersi agli abitanti della zona-Trastevere e dintorni, sino verso ponte Garibaldi.
Così la mattina ci svegliamo avendo dormito molto poco, e con delle svastiche disegnate sui muri del quartiere ebraico, quasi a suggello delle immancabili dichiarazioni di un leghista d.o.c., stavolta Roberto Calderoli, già ministro delle Riforme del precedente governo, che evitiamo di riportare per pudore e vergogna nei suoi e nostri confronti. In questo caso, da “italiani veri”, non possiamo far altro che chiedere scusa al popolo francese (cfr. “L’Italia che vogliamo”, aprileonline in rete ieri, n.201).
Eccoci qui, dunque, dopo poche ore di sollievo, immediatamente disillusi da ciò che veramente siamo rispetto a ciò che potremmo essere, di nuovo alle prese con un popolo che si ricorda di essere tale soltanto quando vede una palla che rotola, possibilmente nella direzione che più gli conviene, in maniera tale da poter scatenare le sue quotidiane repressioni e i torbidi istinti, senza dover rendere conto a nessuno, perché i Campioni del Mondo siamo noi.
Questa è l’Italia che non vogliamo, e che ricominceremo a combattere con ogni mezzo lecito. A partire da domani.
http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=11392&numero=’202’
Messaggi
1. > L’Italia che non vogliamo, 18 luglio 2006, 14:19
Infatti. I campioni del mondo siamo noi. Gioiamone senza sfociare nella politica, perchè la politica non centra niente coi mondiali di calcio