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di Paolo Ferrero
Sabato saremo in piazza, in tanti, contro la direttiva Bolkestein. In Australia la destra impedisce per legge lo sciopero, in Europa vogliono livellare verso il basso salari, diritti, condizioni di lavoro. La Bolkestein rappresenta una sorta di "universalismo della miseria" con cui le classi dirigenti, in nome del libero mercato e della "lotta ai privilegi", si pongono l’obiettivo di frantumare completamente il proletariato uniformandolo in una condizione servile.
L’abolizione del diritto di sciopero, la Bolkestein, la direttiva sugli orari di lavoro e l’offensiva contro i contratti nazionali, sono tanti pezzi di uno stesso mosaico: il tentativo di chiudere definitivamente la storia del movimento operaio e cioè della necessità da parte del capitale di dover trattare con i lavoratori come soggetto collettivo.
Questa offensiva non ha per obiettivo la sconfitta del movimento operaio ma la sua scomparsa; la trasformazione del mondo del lavoro in un universo di relazioni individuali basate sul ricatto, sul favore, sulla sopraffazione e quindi - ovviamente - sulla guerra tra i poveri.
Questa offensiva è forte ma non irresistibile. La direttiva Bokestein sta trovando molte resistenze nel Parlamento europeo e anche da parte di singoli governi nazionali; resistenze aumentate dopo il No alla Costituzione europea pronunciato in Francia e Olanda.
La manifestazione di sabato - che si svolgerà in contemporanea in molte capitali europee - non è quindi una manifestazione di testimonianza ma può incidere assai positivamente per affossare la direttiva. La manifestazione è importante perché pesa concretamente nella lotta ma anche perché rimette insieme il fronte ampio del movimento no global. Dalle organizzazioni sindacali all’area antagonista, dalle mille forme di associazionismo alle esperienze più avanzate negli enti locali. Una manifestazione di lotta ma anche la costruzione di una comunità solidale che manifestando si costituisce ed elabora collettivamente l’angoscia dell’incertezza del futuro.
La costruzione di canali per esprimere, elaborare collettivamente ed organizzare le paure generate dalla crisi del neoliberismo guerrafondaio, è del resto il principale problema di una politica di alternativa oggi. Questo è precisamente il filo rosso che lega la manifestazione del 15 con il voto a Bertinotti nelle primarie del 16.
Il punto centrale della campagna per le primarie, l’idea dei post it, non è stata la rappresentanza, ma la possibilità di costruire canali attraverso cui far entrare la questione sociale dentro l’universo simbolico della "politica" ufficiale. Altro che contrapposizione tra sociale e politica; il 15 e il 16 sono due facce della stessa medaglia: il tentativo di costruzione di un nuovo movimento operaio come risposta alta al tentativo del capitale di distruggere quello storico.
In questo contesto, la decisione presa da Cgil Cisl e Uil di indire 4 ore di sciopero per il 25 di novembre, risalta per la totale inadeguatezza e insufficienza.
Di fronte ad un governo arrogante e a una finanziaria di classe, che continua a drenare risorse dal basso per darle ai ricchi e ai padroni; di fronte ad una disponibilità alla lotta che si è evidenziata nello sciopero generale dei metalmeccanici e nella stessa presenza alla manifestazione delle opposizioni di domenica scorsa, 4 ore di sciopero tra un mese e mezzo sono incomprensibili.
Se ci fosse un percorso concertativo, noi non saremo d’accordo ma si potrebbe capire; ma di fronte ad un governo che prende a pesci in facci lavoratori e sindacati, che senso ha fare dichiarazioni roboanti senza mettere in campo il movimento? Questa decisione stupisce e preoccupa. Stupisce perché contro il governo si sono mossi tutti: dal sindacalismo di base che ha dichiarato unitariamente uno sciopero generale di otto ore per il 21 ottobre, all’opposizione politica che è scesa in piazza domenica scorsa. Preoccupa perché se questa è la risposta alla finanziaria di Berlusconi, cosa succederà negli anni prossimi?
Per questo la manifestazione del 15 ha una valenza ancora più importante: indica un percorso, fa incontrare soggetti diversi, mette al centro la lotta. Perché occorre sconfiggere le destre e le politiche di destra, ma per fare questo non bastano le dichiarazione stampa o la speranza di avere un "governo amico": servono le lotte.