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Percorsi : Hamas, Hezbollah, Talebani

Publie le giovedì 5 ottobre 2006 par Open-Publishing
1 commento

Dazibao Manifestazioni-azioni Movimenti Lidia Menapace

di Lidia Menapace

Ero a Roma il 30 settembre e poichè abito molto vicino a dove si è conclusa la manifestazione per il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Afganistan, e contro la spedizione in Libano, ho incontrato un certo numero di compagni e compagne che conosco da una vita e che mi chiedevano amareggiati perchè non ci fossi andata.

Non ero e non sono d’accordo con la piattaforma, anche se so che è detta e scritta e agita con una coscienza politica che in molti aspetti considero vicinissima a me. A allora? come mai? non sono mai stata una che per aderire a una cosa vuole che ci siano tutte le parole che ama.

Provo a spiegarmi, per me stessa, e per chi guarda con affettuoso rimprovero i miei atteggiamenti.

Credo si debbano rinnovare le nostre categorie analitiche, e questa è una
affermazione generale che mi sento di fare ognivolta, di fronte a discorsi
che mi suonano poggiati su categorie note conosciute studiate, ma ripetute
in un modo che mi pare -ho detto a Taranto il 29 settembre- un po’
"superstizioso", avrei voluto dire: come amuleti o portafortuna, insomma non
razionali, ma solo rassicuranti. Lo dico sempre di fronte a grandi categorie
interpretative che a mio parere bisogna conoscere amare, ma saper anche
considerare non più adatte a leggere il presente: per questo si cerca di
fare la Sinistra Europea, per meno non vale la pena, per operazioni di
ricucitura, rattoppo, ricamo non serve darsi tanto da fare, anche se sono
lavori utili. Meno di tutto serve ripristinare una ortodossia, le scelte
moderate che lottiamo non sono nate per caso, o per tradimento: i problemi
che mostrano sono reali, bisogna trovare altre soluzioni, non ripetere le
proposte di decenni fa.

Inoltre le nuove analisi vanno costruite attraverso il metodo del consenso
cioè cercando le approssimazioni successive verso un nucleo di realtà
convincente anche se non per tutti/e allo stesso modo, non credo si debba
cercare l’unità, ma la molteplicità, non la sintesi che non ospiti varianti,
ma ragioni diverse per concorrere allo stesso fine ecc. Vuol dire fare i
conti fino in fondo col pensiero della differenza che mette in crisi tutti i
monoteismi. E per raggiungere un buon consenso l’atteggiamento verso chi è
di altra opinione è bene che sia modesto, sommesso, "repubblicano", come
sono solita dire, e non puro e duro, sprezzante. Scrivo proprio perchè tale
atteggiamento critico e sommesso ho riscontrato in chi, venendo dalla
manifestazione mi ha incontrato.

Come base analitica, oltre a un atteggiamento consensuale, cioè di ricerca
del consenso e modesto, cerco sempre di partire da esperienze note. E questa
è la cosa che a me è tornata più utile. Mi spiego subito con esempi. Appena
avviata la faccenda libanese, le parole più forti sono state usate verso gli
Hetzbollah, giustamente: ma ci siamo sbracciati a chiedere chi dovesse
disarmarli ecc. Intanto la missione delle N.U. non ha il compito di
disarmare, bensì di garantire la tregua, chiesta dai due popoli che si
fronteggiavano sanguinosamente. Aggiungo che per fondare una analisi precisa
si deve partire dall’uso corretto delle definizioni, anche tenendo conto di
alcune non sempre sincere sottigliezze del diritto sulle quali però bisogna
imparare a giocare e non invece sprezzantemente ignorare. Mi spiego con un
esempio: quando ci fu il fenomeno del fordismo Lenin non disse nè che era
cambiato il modo di produzione, nè che non era cambiato nulla, ma si occupò
appunto del fordismo seriamente e con precisione, per poter attrezzare la
lotta operaia.

Appena dunque ho cominciato a leggere i fatti, prima di tutto ho cercato di
capire che cosa sono gli Hezbollah. Non sono Al Qaeda, sono proprio un’altra
forma politica di risposta ad Israele e agli USA , meno ambigua di Al Qaeda
sulla quale pesano sospetti di infiltrazioni e peggio, persino a proposito
dell’11 settembre. Pensando agli Hezbollah mi è venuto in mente Hamas, che
avevo a lungo esaminato, dato che a me erano famigliari quelli di Al Fatah,
il partito di Arafat. Sapevo che era molto corrotto, e che Hamas era per
questo espressione di altri pensieri politici: ma ambedue erano e sono
formazioni politico-militari. Così Hamas come partito politico-militare
prende parte alla lotta politica e vince le elezioni. Da questo punto in poi
tende a diventare partito politico (e quasi basta).

Un processo simile si
verificò anche dentro la Resistenza: ogniqualvolta una forma
politico-militare vince, si divide tra chi pensa di aver ottenuto il fine
proposto e il maggior risultato possibile e passa all’azione solo politica,
cioè che escluda l’uso della forza e delle armi, e chi invece vuole
proseguire con le armi. Chi appoggia da fuori fa bene, a mio parere, a
favorire il processo verso la politica e ad escludere l’uso delle armi.
Almeno appena vede che si apre una strada che può essere percorsa appunto
dalla politica, e che rende perciò non accettabile qualsiasi uso di armi.
Per questo Hezbollah -per così dire- si disarma da sè e viene
costituzionalizzato entro lo stato libanese, del cui governo fa già
democraticamente parte.

Riusciamo a capire che cosa è utile fare da parte nostra? possiamo fare
esempi con storie analoghe successe in Europa: non siamo affatto estranei da
storie simili: ad esempio i Baschi e gli Irlandesi hanno formazioni
politico-militari e nei loro confronti è stata rispettata rigorosamente la
sovranità spagnola e inglese e non si sono invocate nè condotte invasioni
missioni liberatorie ecc.ecc. E ambedue sono sulla via di una risoluzione
per la quale si è usata una pazienza internazionale lunghissima.
Dunque, se Hamas e Hezbollah debbono essere considerati interlocutori,
ogniqualvolta si ha qualcosa da dire, perchè non cercare che anche i
Talebani si riconvertano in formazione politico-militare ed entrino nel
discorso? la cosa è più difficile, dato che in Afganistan formalmente c’è un
governo regolare, e truppe di vari stati sotto nome Nato di occupazione, ma
potrebbe essere l’Iran a consigliare Hezbollah, dato che è in contatto con
loro ed è capace di essere sufficentemente doppio e sottile.

Da ciò la mia assoluta incapacità di seguire altre strade che non siano a un
dipresso quelle che ho già detto: cerchiamo di trascinare la questione
afghana verso azioni simili a quelle del Libano, e -anche attraverso
rapporti decenti con il governo iraniano- cerchiamo di indire una conferenza
internazionale alla quale prendano parte tutti gli attori afgani, il
governo, ma anche l’opposizione, Rawa, i Talebani e i contadini e le truppe
stanziate sul territorio e l’Europa e trattiamo con gli Afgani e vediamo se
si riesce a trasformare i militari in garanti della tregua o -meglio- a
sostituirli con missioni di caschi bianchi, cioè con forze organizzate ma
non combattenti. Insomma a me pare che giovi far lavorare la fantasia che è
una bella forma della ragione, non ripetitiva nè catechistica, che non
recitare rosari ossessivi di parole d’ordine che non sono traducibili in
nessuna azione politica.

Messaggi

  • Premettendo il fatto che sono convinto che la manifestazione del 30 settembre a Roma è sostanzialmente fallita non soltanto per il boicottaggio della "sinistra radicale di governo" ma anche perchè tra i promotori e tra le adesioni sono state accettate presenze a dir poco sconcertanti che hanno tenuto lontani dal corteo anche situazioni e singoli compagne/compagni che pure ne condividevano lo spirito e gli obiettivi, mi sembra comunque giusto pubblicare la risposta di Piero Bernocchi a Lidia Menapace, pubblicata sempre da "Liberazione", nella quale sostanzialmente mi riconosco.

    Keoma

    La critica di Lidia Menapace alla manifestazione del 30 settembre è francamente sconcertante. Malgrado cerchi di ridicolizzare le analisi delle forze promotrici del 30, deformandole a tic maniacali (ci si accusa di “superstizione”, di parole d’ordine usate come “amuleti o portafortuna”, di analisi “non razionali ma solo rassicuranti”, di “recitare rosari ossessivi”: insomma, siamo dipinti come disadattati, “spostati” psicologicamente, beghine di parrocchia, magari islamica), è uno degli articoli sulla guerra più irrazionali e irrealisti degli ultimi tempi. Non sembra opera di una compagna che fino a poco fa aveva i piedi piantati a terra: e men che meno di una deputata di una coalizione di governo che si è caricata di gravi responsabilità, votando ben due missioni militari - quando ancora ieri mi rimproverava ogni volta che usavo quello che definiva “linguaggio militare” (termini come “battaglia”, “militante”, “strategia”, “tattica”) – dei cui risultati dovrebbe almeno dar conto prima di lanciarsi in filippiche contro i “superstiziosi”.

    La tesi di fondo del farraginoso scritto sembra questa: in teoria io (Menapace) vi (i manifestanti del 30) capisco pure, i vostri argomenti sono più o meno marxisti e antimperialisti: ma sono superati dalla storia e inutilizzabili e voi li usate come feticcio perché, di fronte alla nuova realtà, non riuscite a produrre categorie analitiche nuove. Dopodiché Menapace espone le proposte a cui la portano le presunte categorie “nuove” (perdiana, Lidia, devi aver riflettuto molto quest’estate, visto che in primavera ancora usavi pure tu le “vecchie”). E qui cascano le braccia, perché il succo è il seguente: prendiamo gli armati che rompono le scatole e impediscono la pacificazione, in primis i Talebani (perché Hamas e Hezbollah sarebbero già sulla buona strada), li convinciamo – o li facciamo convincere dagli iraniani – a deporre le armi e diventare una forza politico-istituzionale, gli organizziamo una Conferenza internazionale e intanto sostituiamo i militari con forze organizzate non combattenti: e la faccenda dovrebbe aggiustarsi. D’altra parte, aggiunge Menapace, non sta andando così con i baschi e con quelli dell’IRA?

    Da tal quadro, questo sì superstizioso e soprattutto irreale fino al fantascientifico, sparisce la guerra globale e le sue ragioni, l’aggressione planetaria condotta dagli USA, l’arroganza bellicista e espansionista di Israele, il Grande Medio Oriente di Bush. Insomma, sembra che stiamo parlando davvero dello scontro tra protestanti e cattolici in Irlanda o tra indipendentisti e autonomisti nei Paesi Baschi: cosicché, una volta messe via le armi, la ragione dovrebbe prevalere.

    Questa, e non la nostra, è davvero “una recita di rosari ossessivi che non sono traducibili in nessuna azione politica”. Perché di mezzo c’è una guerra permanente voluta dagli USA per dominare il mondo, per controllare le ricchezze cruciali in via di esaurimento, per occupare luoghi strategici in vista della feroce competizione con le nuove potenze emergenti (Cina in primis) e per far valere lo strapotere militare, visto che quello economico vacilla, verso gli alleati-concorrenti. E dall’altra parte c’è una resistenza concreta - che ha impantanato gli USA in Iraq e Afghanistan, che ha bloccato Israele, costringendolo a ricorrere all’ONU - senza la quale neanche parleremmo più di questi paesi, sottomessi alla pax americana, bensì dell’invasione dell’Iran o della Siria: una resistenza armata, con appoggio popolare vistoso in alcuni paesi e in altri comunque diffuso, integrata con la resistenza pacifica e l’ostilità verso gli occupanti della grande maggioranza delle popolazioni.

    Le forze egemoni in queste resistenze non sono marxiste, usano spesso il fondamentalismo religioso come arma-chiave, hanno sovente una visione della vita sociale lontana mille miglia da noi: ma è anche colpa della “sinistra” mondiale se oggi sono queste forze, e non quelle che piacerebbero a noi, a condurre la sacrosanta resistenza reale agli USA e ai loro alleati. Che però non stanno per nulla rinunciando all’aggressione, anzi. In Israele si parla serenamente sulla stampa di uso delle atomiche nei confronti di Iran e Siria, il massacro dei palestinesi prosegue imperterrito e l’esercito israeliano ha detto che le truppe ONU in Libano garantiscono solo una tregua prima del nuovo assalto. E in tale prospettiva noi dovremmo lavorare perché Hamas, Hezbollah, Talebani, resistenza irachena laica e non, disarmino e organizzino Conferenze di pace? “Sbracciarsi – come Menapace segnala – a chiedere chi deve disarmare Hezbollah”, contro cui “sono state usate giustamente (sic!!!) le parole più forti”? Mandare in Afghanistan forze non combattenti perché i Talebani si “riconvertano” in forza politica?

    Questa sì è fantascienza, che fa male alle menti e ai corpi, perché nel frattempo Lidia e altri/e hanno permesso al governo di mandare forze combattenti in Afghanistan, dopo averci promesso che sarebbero state fuori dalla guerra: ed oggi, come altri no-war trasportati nella maggioranza governativa, si accingono a riconfermarvi non le ipotetiche forze non combattenti ma Lagunari, Incursori, Parà, Assaltatori. Sarebbero queste le nuove categorie analitiche, la razionalità, l’”atteggiamento modesto e sommesso che procede attraverso il metodo del consenso”, quando peraltro i due terzi degli italiani sono contro la guerra in Afghanistan e la metà contro la missione in Libano?

    Menapace e altri/e si sono risentiti perchè li ho definiti malati della “sindrome del governo amico”. Ma produrrebbero analisi così inverosimili, voterebbero le missioni, si entusiasmerebbero per i militari in Libano e per la politica estera italiana se il “conducator” della carrozza bellica fosse ancora Berlusconi e non D’Alema?

    Piero Bernocchi - Confederazione Cobas