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PUBBLICITÀ CONSUMISTICA DEI FARMACI VERGOGNA TIPICA DEL MERCATO (con licenza di Stato)
Publie le giovedì 26 gennaio 2006 par Open-PublishingDazibao Consumo-Pubblicità Carmelo R. Viola
di Carmelo R. Viola
La pubblicità - lo diceva anche mio padre, minuscolo esercente - è l’anima del commercio. Una volta si diceva alla francese, “reclame” (réclame), Almeno nella mia Sicilia. Era il tempo di “brill”, lucido per scarpe, di “presbitero”, matite scolastiche, di pochi articoli che si contavano sulle dita.
Pochi slogan, quasi piacevoli e divertenti come certe battute scherzose o salaci. Di anni - direi decenni - ne sono passati tanti. Ma davvero tanti. Oggi la pubblicità è una coltre di piombo che soffoca i mezzi di comunicazioni (massmedia) e soprattutto la televisione dove non puoi scegliere come le pagine o colonne di un giornale, ma su cui sei costretto a tenere incollata la vista in attesa che torni ciò che tu vuoi effettivamente vedere.
La pubblicità spezzetta, inquina, deturpa, vilipende anche le migliori opere d’arte mandate in onda; ti fa perdere tempo e la pazienza; gli spot lunghi e frequenti ti fanno perdere il filo dello spettacolo; ti assopiscono, ti spazientiscono, se di sera ti addormentano, t’inducono a “saltare” da un canale all’altro come alla ricerca di una liberazione, fino alla decisione di spegnere, stanco e sconsolato, il piccolo schermo, e di fare dell’altro, magari di dormire. La pubblicità, insomma, ci opprime e ci soffoca. L’opera d’arte, il programma che ci piace, finisce per diventare un’ossessione, un fastidio, qualcosa di cui preferisci fare a meno pur di evitare la pubblicità, per non subire lo stillicidio psicologico di battute e immagini cretine, talora stomachevoli, che si ripetono fino all’ossessione, alla nausea, al voltastomaco. E questo i sedicenti “intenditori” di cose sociali lo chiamano progresso, stare al passo con i tempi.
Ma chi sono costoro? Gli industriali, i mercanti, coloro che con la pubblicità - ma non solo con questa - ci mangiano e ci arricchiscono: E’ il mercato moderno, della civiltà tecnologica. Gli effetti collaterali? Non ne sono vittime certamente i profittatori del sistema nel senso che la “refurtiva” (cioè il ricavo di profitti illeciti) li ripaga e li ubriaca come una droga. Ma tali effetti ricadono su tutti, pretesi intenditori di cose sociali compresi, insomma anche sui “padreterni del sistema”. I quali, puntualmente ignoranti del vero diritto, ritengono (o fingono di ritenere) essere tutto ciò che non è vietato dalla legge - insieme di norme convenzionali del sistema - perciò solo lecito e perfino morale. Non si può dire che l’Italia non sia la “patria del diritto” se di questo si continua ad avere il concetto che ne avevano i romani - il cui parametro era solo la forza - presso i quali era lecita la schiavitù e indiscusso era l’”ius vitae necisque” (alias diritto di vita e di morte) del paterfamilias! Ebbene, poiché la legge - la volontà istituzionalizzata della classe dominante - non vieta la pubblicità consumistica, questa è legittima e morale, salvo a intervenire per casi rari di “patente esagerata ingannevolezza” come è avvenuto recentemente con un farmaco che assicurava la perdita di peso. Un’occasione per salvare la faccia e... il sistema. Ma ci vuole ben altro per salvare il diritto alla verità e alla tutela dalle menzogne dei ladri con licenza di Stato.
Andiamo con ordine...
Da qualche tempo - qualcuno deve averlo notato! - è aumentata la pubblicità di farmaci alla TV. Definisco questo settore - e sto per spiegarne il perché - una delle maggiori vergogne dell’economia di mercato (alias “predonomia”) perché l’oggetto dello sfruttamento è proprio il bene supremo della salute, quello che Paolo Mantegazza definiva “l’unità che dà valore a tutti gli zeri della vita”. Prima di procedere va ripetuto che parlare di pubblicità sic et sempliciter è bugiardamente riduttivo e fuorviante; infatti, si vuole sottintendere “informativa”. Nient’affatto. La pubblicità, di cui si parla, è sempre e puntualmente “consumistica” cioè mirata non a far conoscere il prodotto ma solo a farlo consumare. Conoscere vuol dire sapere cos’è nella sua essenza, a che serve, quale beneficio se ne può trarre e quanto e quale effetto negativo può procurarci e in quali circostanze. Questo vale soprattutto per i farmaci.
Tale pubblicità non è mai sincera ed innocente per il solo fatto di essere consumistica. Per il solo fatto di essere consumistica è sleale e ingannevole e pertanto nociva, anzi “criminosa” come tutte le menzogne finalizzate al profitto. Se non fosse consumistica non verrebbe inserita nel corpo di un testo e in tutti gli “interstizi” di un canale. Ormai ci sentiamo ripetere continuamente “questo programma ci è stato concesso da” (segue il nome del prodotto pubblicizzato) come per indurci a dire sempre grazie e convincerci che senza la pubblicità dei produttori non potremmo godere della televisione, fors’anche nemmeno della stampa e, perché no?, forse nemmeno del diritto alla vita. Si ascoltano le previsioni del tempo e subito dopo la giaculatoria sopra riportata: “questo programma ecc. ecc.”. Si finisce di ascoltare il notiziario ed ecco la giaculatoria. La pubblicità compare nelle circostanze più impensate, per esempio quando sta per finire la lettura di un notiziario o la puntata di un romanzo proprio per costringere gli ascoltatori ad attendere magari per sentirsi dire che il notiziario o la puntata sono finiti. Il telespettatore fa la parte del “cornuto e bastonato” da una pubblicità che appare sempre più la ragion d’essere e di cui notiziari e programma vari che fungono da pretesti o quasi: dei contenitori per un contenuto che non potrebbe stare da solo.
Dicevamo “criminosa” la pubblicità consumistica. Questa, infatti, è basata sull’effetto suggestivo subliminale: non a caso si parla di “persuasione occulta”. Non sappiamo se anche in Italia questa venga realizzata come nella democrazia (leggi criminocrazia) USA: con immagini flash percepite solo dall’inconscio. Ad ogni modo, effetto suggestivo subliminale vuol dire che l’induzione al consumo raggiunge il subconscio per via della ripetitività e da lì pregiudica il potere critico e selettivo della mente. Del resto, tale potere è impossibile laddove manca una cognizione sufficiente (possibilmente scientifica) del prodotto. In mancanza di questa cognizione (che la pubblicità consumistica in quanto tale non può dare senza svelare i propri trucchi), l’effetto suggestivo - quasi plagiario - è più facile quando non è del tutto scontato. Ora, condizionare-sequestrare e manipolare la volontà del soggetto non può non essere un crimine di ordine psicoreattivo o psicodinamico - ed infatti lo è - ma, in questo caso, solo nelle parole di chi non finge di non conoscere la psicologia e lo denuncia. Non nei codici della magistratura.
Se i responsabili del sistema, fautori e fruitori della pubblicità della fattispecie, conoscano la psicologia sociale, è tuttavia da vedere. In ogni caso, è ovvio che tale conoscenza non faccia parte del loro dovere verso una comunità, visto che una comunità non esiste ma solo una giungla antropomorfa che essi chiamano società e che “truccano” con attributi impropri di civile e di liberale. Dal subconscio giunge al cervello il “comando” di consumare questo o quel prodotto solo perché la ripetitività della proposta pubblicitaria e della relativa immagine hanno finito per farli sentire “belli” da comprare e da consumare indipendentemente dalla effettiva qualità e attività metabolica degli stessi.
Come dicevamo, la pubblicità “consumistica” dei farmaci è notevolmente aumentata in corrispondenza dell’aumentata liberalizzazione del settore e quindi della virulenza e selvaggità (ma anche malvagità) del neo liberismo in cui, sempre i “padreterni del sistema”, stanno facendo convergere e risolversi il capitalismo, illuso vincitore del socialismo. Questo settore pubblicitario è particolarmente caratteristico e sfido chiunque a confutare le affermazioni che seguono:
1 - esorta al consumo sistematico di farmaci come ad una specie di “farmaco quotidiano”, analogo al pane quotidiano.
2 - Aumenta l’apprensione per le malattie e riduce la fiducia nel potere di autodifesa spontanea dell’organismo. Ne consegue una specie di “farmacofagia”.
Ci si sente ripetere per l’intera giornata e soprattutto nelle ore di maggiore ascolto - ovvero nel corso di spettacoli maggiormente seguiti - che ad ogni starnuto, ad ogni bruciore di stomaco, al primo mal di testa o di gola o di costipazione o di dolore muscolare, in caso di colesterolo in eccesso o di acidità gastrica, di fabbisogno di calcio, di mal di schiena, di stitichezza - e chi più ne ricorda più ne metta - si debba correre in farmacia a comprare questo o quel prodotto-panacea per il male specifico, salvo i possibili effetti collaterali e le controindicazioni per età, gravidanza, allattamento ed altre circostanze anche patologiche, come le cardiopatie ed altro.
Avete fatto caso con quale rapidità vengono lette le avvertenze del caso? Con una rapidità tale che è impossibile seguirle specie quando si è distratti o anziani o corti di udito. E anziani e corti di udito, guarda caso, sono quelli che certamente hanno più bisogno di un’informazione sufficiente. Così, ciò che andrebbe fatto intendere con scrupolosa certezza, viene semplicemente letto in tutta fretta, ovviamente solo per formalità di legge, che ne obbliga la lettura senza prescriverne la modalità. E in tal modo le lobbies - associazioni industriale-affaristiche per la produzione e predazione di profitti illeciti di stampo legale-liberista - rispondono a due finalità: a) risparmiano tempo, che per loro, predatori, è danaro (sic!); b) rispettano la legge ma solo formalmente, ovvero la raggirano cadendo nella “paralegalità”, propria della cosiddetta “mafia” (che mafia non è ma appunto predonomia paralegale). In altre parole confermano in maniera eloquente che anche tale pubblicità (relativa alla salute) ha il solo scopo di indurre al consumismo. E l’effetto è spesso assicurato. La lettura, di cui dicevamo, è così poco più di un “rumore di rito” - che la legge sente e tollera - che suscita sconcerto e ci riporta alla crescente “ridicologia” del sistema.
3 - Dal consumo di farmaci a libera vendita (alias a prezzo intero!) come le noccioline o la gomma da masticare, alla maggiore richiesta di farmaci prescrivibili, il passo è brevissimo. Infatti, chi corre in farmacia alla prima sensazione di un presunto male, come vuole la suadente pubblicità, è colui che, appunto, si è convinto che l’organismo (incapace di autodifesa) abbia sempre bisogno del farmaco correttore delle svariate e ricorrenti micropatologie del quotidiano. Pertanto, se il farmaco “libero” non sortisce l‘effetto sperato, il ricorso al medico di base è categorico. Parimenti è possibile che chi recepisce, quasi teleipnoticamente, il messaggio pubblicitario, salti la farmacia e corra direttamente dal medico per maggiore sicurezza. Il risultato di questo comportamento teleindototto è un aumento di consumo di farmaci in quanto tali e quindi anche un maggiore consumo di farmaci prescrivibili. Il primo aumento è tutta salute per l’industria capitalistica, per definizione amorale, e per gli economisti del sistema è addirittura un segno di vitalità del sistema stesso. Avviene analogamente per l’auto: un maggiore consumo dell’auto è un segno tangibile di ripresa dell’economia e della salute del sistema (che non è la comunità dei cittadini). Per lo Stato, invece, che deve corrispondere alle industrie l’importo dei farmaci prescritti (meno l’eventuale ticket), costituisce un ovvio maggiore carico di spesa sociale tanto che talvolta se la prende con i medici di base, rei di prendere in considerazione le ansie di pazienti, vittime della pubblicità, autorizzata dallo Stato stesso. Con i medici, per l’appunto incolpevoli! Un “circuito” puntualmente “ridicologico”! Si tratta di un’accusa ricorrente, immotivata e “cretina” come si è già visto.
La possibile conclusione di questo discorso è una sola: lo Stato, gestore della predonomia propria e privata (e la predonomia è solo liberista), è un soggetto asociale e amorale (a dispetto della Costituzione), responsabile di un sistema analogo, quindi criminale e criminogeno, dove alla irresponsabilità di base si unisce un misto di incultura di scienza sociale, psicologica e giuridica (ma più precisamente “di diritto naturale”).
La pubblicità consumistica è uno dei componenti più assurdi e insieme più osceni del sistema inteso nella sua globalità a) perché la concorrenza non può essere realizzata attraverso la suggestione dei consumnatori, b) perché il maggiore consumo non significa maggiore vitalità, maggiore funzionalità sociale e maggiore progresso: significa solo più profitti per i predatori più capaci; minore capacità dei cittadini a gestire i propri fabbisogni; maggiore irresponsabilità dello Stato nell’induzione di patologie del corpo (come l’obesità, uno dei problemi di massa degli Usa, dove la pubblicità insegna a mangiare come le capre, come avviene di già anche da noi!), di maggiori scompensi ecologici e meteorologici (da inquinamento da produzione industriale non selettiva e senza misura), maggiore asfissia urbana da auto (per uso senza misura di mezzi di locomozione a combustione di carburante); significa in ogni caso negazione totale di quel “risparmio” su cui si fonda l’istituto di credito, detto banca, e che è invece un marchingegno di usura e ladrocinio che, sempre con tanto di licenza di Stato, corrompe coloro stessi che lo posseggono e gestiscono nell’interesse teorico dei risparmiatori al punto da non essere mai paghi della ricchezza che posseggono, come gli scandali attuali del settore dimostrano senza tèma di smentita.
La pubblicità consumistica, relativa ai farmaci, è la ciliegina che completa la torta di una sistema, caricatura di una società civile che fa pena a sé stessa. Davanti a cotanto scempio della scienza sociale ma soprattutto del diritto vero e proprio, che ci stanno a fare il ministero della salute, lo stesso potere giudiziario, l’authority antitrust per la pubblicità e la concorrenza e, non ultima, la corte costituzionale? Anni fa la suddetta “autorità di controllo” mi scrisse che l’ “impazzamento” della pubblicità anche nel corpo di un bel film, è “ininfluente” ai fini della legalità del canone RAI. “Ininfluente”: è una parola-sentenza che non posso dimenticare! Evidentemente è “ininfluente” anche l’abuso psicologico che la pubblicità esercita sulla libera scelta dei farmaci da consumare, con quel che segue. Ma forse bisognerebbe solo ripetere la sigla appresa a scuola: CVD ovvero “come volevasi dimostrare”. A cui aggiungo per mio spasso: sic transit gloria mundi.