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Il prodismo e la riscossa dei partiti

Publie le mercoledì 19 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Elezioni-Eletti Primarie

di Piero Sansonetti

Nessuno in Italia aveva preso in considerazione l’ipotesi di una partecipazione così forte alle primarie.
La grande partecipazione è il dato fondamentale della giornata di domenica. E va letto in tutti i suoi aspetti e significati. Ne vedo principalmente tre: primo, la carica antiberlusconiana che milioni di persone hanno voluto dare alle primarie; secondo, la richiesta di politica, cioè di ritorno della politica di massa (anche della politica dei partiti, che era assente, in queste proporzioni, dai tempi della prima repubblica e del Pci); terzo, il "prodismo", o più precisamente la richiesta di unità. Il primo e il terzo di questi elementi si assomigliano abbastanza.

Cos’è il prodismo?

Diciamo la verità: dei programmi politici di Prodi sappiamo poco; della sua biografia sappiamo che è un ex-democristiano che poi ha guidato un’esperienza non felicissima di governo di centrosinistra (1996-1998); quello che sappiamo con certezza, tutti, di Prodi, è una cosa semplicissima: è lui che dovrà prendere il posto di Berlusconi. Cioè dovrà scacciare Berlusconi dal potere. Il prodismo, oggi, essenzialmente è questo: il desiderio ormai ossessionante di cacciare via Berlusconi al più presto. Questo desiderio - che sta dilagando nella società italiana - è stato il protagonista assoluto delle primarie di domenica.

Il secondo significato di queste elezioni - e cioè il ritorno dei partiti - è apparentemente in contraddizione col "prodismo". In realtà non c’è nessuna contraddizione. Nel processo di cacciata di Berlusconi, ai partiti spetta un ruolo grandissimo. E l’affermazione larga di Prodi alle primarie, il 75 per cento (cioè un voto su quattro), è figlia di partiti. Guardiamo i voti e le somme di voti a livello nazionale e paragoniamoli ai voti dei partiti (con l’accortezza di dividere per due i risultati delle primarie, visto che le primarie coinvolgevano solo la metà, circa, dell’elettorato, cioè solo l’elettorato di centrosinistra). Bene: il voto raccolto da Prodi equivale più o meno al 37-38 per cento alle elezioni generali, e cioè coincide con la somma dei voti presi alle ultime europee e alle ultime regionali dai partiti che alle primarie hanno sostenuto Prodi (Ds, Margherita, Sdi, comunisti di Diliberto più le minoranze linguistiche e i girotondi non dipietristi). Per Bertinotti le cose sono andate un po’ meglio. Non c’è stato lo sfondamento, ma Bertinotti ha ottenuto il 14,7 per cento dei voti, che equivale a un 7 e mezzo per cento, cioè un punto e mezzo sopra il risultato (molto brillante) delle Europee, e due punti abbondanti sopra le regionali dello scorso aprile. Anche Mastella ha ottenuto un risultato un po’ superiore ai suoi voti (e cioè un 4,5 per cento, che corrisponde a oltre il 2 per cento su base generale, cioè supera, virtualmente, lo sbarramento del 2 per cento previsto dalla nuova legge elettorale). Di Pietro, col 3,3 per cento dei voti ( l’1,7 su base generale) conferma grosso modo i risultati delle Europee. Va abbastanza male invece a Pecoraro Scanio con un 2,2 (che vuol dire appena l’1,1 per cento su base generale): è stato punito forse anche per qualche eccesso di prodismo. Quanto ai candidati della società civile, il voto non li ha premiati. Né Scalfarotto né Simona Panzino hanno, in nessuna regione, superato lo 0,7 per cento.

Sul risultato complessivo hanno pesato in maniera formidabile alcune regioni chiave dove i partiti sono molto forti. L’Emilia a favore di Prodi, la Campania e la Basilicata per Mastella ( e anche per Pecoraro). Il voto nazionale, senza Emilia, avrebbe dato un punto percentuale in più a Bertinotti (15,7%).

Quale quadro politico esce dalla primarie? Una sinistra con una componente riformista largamente maggioritaria, e con una componete radicale molto solida e che si riconosce in Fausto Bertinotti. Su questa base si va alla battaglia del programma. Prodi deve sapere che non potrà essere un programma riformista tout-court, cioè il suo programma o quello dei partiti che lo sostengono, ma dovrà tenere conto delle posizioni di Bertinotti, della sinistra radicale, e anche di quelle di parti fondamentali dei movimenti sociali e sindacali. Altrimenti non sarebbe una coalzione. Se non lo capisce fa svanire la potenzialità della vittoria enorme di ieri. Se lo capisce può aprire una fase nuova, del tutto inedita - e forse un po’ spericolata, positivamente spericolata - nella storia della sinistra e del centrosinistra.

http://www.liberazione.it/giornale/051018/LB12D6E9.asp