Home > Il funerale intellettuale e morale dell’Italia
Dazibao Giulietto Chiesa Elezioni politiche 2006
di Giulietto Chiesa dalla rubrica ’’Left’’ di Micromega del 6-4-06
Scrivo queste note prima di conoscere il risultato elettorale, sicuramente storico, del 10 aprile, con la speranza che qualcuno non debba poi scrivere una canzone amara, tra quale anno, come fu il caso di “Vi ricordate quel 18 aprile”... Speranza, ma con un peso sullo stomaco. Leggo e rileggo i giornali di domenica 9 aprile: campeggiano, dominano, i titoli sui funerali del piccolo Tommaso. Vedo le cifre: cinquantamila persone affollano il Duomo di Parma e la piazza e le vie circostanti. La folla bacia le fotografie del bambino ucciso, insieme a quelle di papa Wojtyla e anche a quelle di Padre Pio. Arrivano anche le benedizioni speciali, quella di benedetto XVI e di Carlo Azeglio Ciampi.
Soprattutto guardo la diretta televisiva. Vedo che è arrivato, in gran fretta, anche il presidente della Camera dei Deputati, Pierferdinando Casini, il ministro dei trasporti Piero Lunardi, il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro.
Leggo che quasi tutti i giornali hanno riesumato la parola “orco”, per descrivere gli assassini. Come nelle favole antiche, si va a scavare negli archetipi . E io mi chiedo, istintivamente prima ancora che razionalmente, in quale paese viviamo, e che cosa e come voteranno oggi, quei cinquantamila che hanno sentito il bisogno di andare a vedere i funerali, il dolore degli altri, magari per sentirsene partecipi, per condividere un po’ della commozione genuina di coloro che hanno davvero sofferto.
E penso che ricostruire questa Italia sarà un’impresa gigantesca. Perché non è solo il problema di farla risorgere dalle macerie provocate dal bulldozer Berlusconi, risanare i conti pubblici dissestati, tornare a chiamare falso il bilancio falsificato, e punirlo di conseguenza, eliminare le leggi ad personam che hanno demolito lo stato di diritto, ripristinare la Costituzione, violentata dai lanzichenecchi che il Feticcio ha portato con sé ad occupare le aule dei poteri dello stato.
No, temo che il problema sia davvero molto più ampio. Richiama alla mente le parole, altissime, con cui Gramsci invocava una profonda riforma intellettuale e morale dell’Italia.
Mi domando, soprattutto, cosa voteranno coloro, non posso immaginare quanti, che hanno guardato la diretta televisiva, vivendo i funerali di un bambino, ucciso dagli orchi, come se fosse un grande spettacolo. E che hanno anche applaudito al passaggio della bara, proprio come si fa quando si va al concerto del cantante di grido, o allo stadio, o a qualunque altro spettacolo.
Ci sarebbero state, in piazza, quelle cinquantamila persone, se non ci fosse stata la diretta televisiva? O, per meglio dire, ci sarebbero state se la tv e i media, non avessero trasformato una piccola tragedia - una tra le mille, neanche troppo speciale quanto a violenza e abiezione, rispetto alle altre 999 - in un caso nazionale, che a sua volta, rendeva “necessaria” la diretta televisiva?
So bene che c’è ancora chi ritiene che è il pubblico che decide; che chi programma l’agenda del giorno, dei nostri giorni, non fa che interpretare i sentimenti popolari, del resto sempre confermati a posteriori dagli indici di ascolto.
Ed è infatti sulla base di questo tipo di “premonizioni” che Casini e Lunardi e Cuffaro si sono precipitati a Parma. Per andare incontro al “favore popolare”, che mescola Tommaso con Padre Pio e piange a comando per le storie che gli vengono commissionate dai vari Mimun, Ferrara, Giordano, Vespa, e via manipolando.
Il che sposta la faccenda dal tema del “favore popolare” ( ovviamente inesistente perché il “popolo”, come lo intendono i pubblicitari - e come è ormai dimostrato dalla trasformazione di miliardi di individui in consumatori compulsavi - consuma ciò che gli viene propinato dalla televisione) al tema della democrazia.
Ma che tipo di democrazia è questa, in cui milioni e milioni sono manipolati e privati di ogni possibilità di sapere come stanno in realtà le cose; in cui la superstizione viene corteggiata e usata, invece che combattuta; in cui, come diceva il filosofo greco, “i pochi comandano sui molti attraverso l’opinione”; che tipo di democrazia, si diceva, è questa?
E come fare per tornare ai principi della nostra Costituzione, in cui i compiti dei poteri eletti erano quelli, dinamici, di superare le disuguaglianze, di modificare gli assetti esistenti, al fine di poter dare a ciascuno i diritti essenziali per potere liberare le proprie capacità, cioè liberare se stesso dal bisogno, dalla costrizione, dall’umiliazione?
Cioè l’esatto contrario di ciò che ci accade di vedere ogni giorno: in tv in primo luogo, e poi nella vita, perché è la televisione che detta la nostra vita. Ecco, a questo pensavo prima di conoscere il risultato del voto storico del 9-10 aprile 2006. Alla possibilità, se ancora ne esiste una, di tornare a costruire una democrazia in cui la distanza tra la consapevolezza politica degli abbienti e dei colti e quella dei poveri e diseredati si riduca invece di crescere. A danno di entrambi i gruppi. Perché non vi sarà democrazia nemmeno per gli abbienti e i colti se gl’incolti - dominati dall’opinione dei prevaricatori - saranno i depositari della volontà collettiva.
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