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Diete a confronto: quale fa meno male alla natura? Una ricerca promuove vegetariani bio e vegani, ma boccia gli altri italiani
di Daniela Condorelli e Paola Segurini
C’è un’ impronta sulla Terra, lasciata da ognuno di noi. Un area di terreno un tempo fertile, che non lo sarà mai più. Sfruttato per permetterci di mantenere il nostro tenore di vito. È grande la nostra impronta: 30 volte quella di un indiano. E pesa più che mai sull’ecosistema. Ma c’è una buona notizia: possiamo ridurla, a favore di quell’indiano e dei nostri figli. L’impronta ecologica è il nostro impatto sulla natura, e tutto cio che consumiamo in eccesso non torna più indietro. Secondo il Living Planet Report del Wwf, oggi siamo sfruttando il 20% delle risorse in più rispetto alla capacità biologica della Terra.
Che fare? Guardare cosa mettiamo nel piatto. È il tema di uno studio tutto italiano, non ancora pubblicato, sull’impatto ambientale delle diverse diete. Ma anche di congressi internazionali sulle sorti del pianeta. Come la Conferenza Annuale dell’International Grains Council che si è appena conclusa a Londra ( www.igc.org.uk ). "Nei prossimi 45 anni, il mondo avrà bisogno del triplo, della quantità attuale di carne, latte e uova, e la nostra industria sarà dominata dalla richiesta di risorse per foraggiare gli animali", ha dichiarato Roger Gilbert, segretario generale dell’International Feed industry. Più richezza significa, infatti, più carne in tavola: per ogni punto percentuale guadagnato nel reddito annuale di una famiglia, la spesa in proteine animali aumenta del 2%. Più carne: ovvero più bisogno di cereali per sfamare gli animali. Nella riunione londonese è stato previsto che la produzione di foraggio australiana crescerà del 50% entro il 2020. E più foraggio significa meno cibo e meno acqua per l’uomo.
Dell’acqua si preoccuperà la consueta World Water Week, a Stoccolma, a partire del 21 agosto ( www.worldwaterweek.org ). Si ribadirà, tra l’altro, che nei prossimi vent’anni la popolazione mondiale supererà i sette milliardi, e le scorte d’acqua pro capite diminuiranno di un terzo. Ma anche che il 70% dell’acqua dolce è usata per abbeverare le mucche e innaffiare i pascoli (sapevate che un bovino beve 200 litri al giorno? Dunque, per produrre cinque miseri chili di carne, serve tanta acqua che ne consuma una famiglia media in un anno).
Il Programma a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile recepito dalla Ue mette in primo posto "la modifica del comportamento individuale". Mangiare meno carne serve, certo, ma non basta. Due ricercatori, il chimico ambientale Massimo Tettamanti e la biologa Rafaella Ravasso, hanno messo a confronto diversi tipi di diete, tenendo conto del livello di danni che procurano alla salute umana, alla qualità degli ecosistemi e alle risorse. Categorie in gara: l’italiano medio, onnivoro e incurante degli equilibri tra nutrienti; qui mangia carne, latte e uova prodotti in allevamenti intensivi; chi fa altrettanto ma sceglie bio; i vegetariani (bio o no); i vegani, che si nutrono di soli vegetali (bio o no).
BUONI E CATTIVI
"I diversi stili alimentari sono stati confrontati preparando tre diete di una settimana, paragonabili per contenuto calorico, completezza e bilanciamento", spiega Tettamanti. "Si tratta di una dieta onnivora rispettosa della piramide alimentare, una vegetariana e una vegana, con tre pasti principali e due spuntini, un contenuto calorico medio di 2 000 2 200 calorie al giorno e un rapporto proteine/grassi/carboidrati pari a 15/30/55". Per confronto è stata inoltre valutata una dieta con la lista e la quantità di alimenti realmente e normalmente consumati da un italiano (vedi box in fondo all’articolo): è quella di maggiore impatto in assoluto.
Ma cosa significa analizzare una dieta da un punto di vista ambientale? "Ogni processo inteso come singolo prodotto materiale (un etto di frumento o un latticino), è dato da un insieme di materiali ed energia. Inoltre è il risultato di approvigionamenti di materie prime, produzioni, distribuzioni, smaltimenti e recuperi". Ciascuno di questi passaggi puo’ dar luogo a una varietà di emissioni, che provocano effetti differenti sull’ambiente. Cosi, per valutare l’impatto della produzione di un etto di frumento, è necessario considerare tutti i processi di preparazione dei fertilizzanti, irrigazione, raccolta, trattamenti e trasporto del prodotto e smaltimento delle scorie. Si dovranno considerare materie prime e risorse energetiche impiegate, ma anche energia dissipata, emissioni in aria e acqua e rifiuti solidi. Infine, ogni impatto viene sintetizzato in un punteggio, tanto più elevato quanto più dannoso per l’ambiente.
Ecco allora cos’è emerso dall’analisi, durata due anni, di Tettamanti e Ravasso.
Il menu onnivoro, con prodotti che derivano da allevamenti o coltivazioni intensivi, ha un punteggio pari a 2,34. Il consumo d’acqua causa maggior impatto sull’ambiente, seguito da quello di combustibili fossili che servono per i processi di lavorazione, produzione e trasporto, e, ancora, dai danni alla respirazione di composti chimici inorganici legati agli stessi processi, dal consumo del territorio e infine dai processi di acidificazione dovuti alle deiezioni animali, pesticidi e fertilizzanti. E i singoli ingredienti? Quale cibo è più dannoso? Il manzo, seguito da sogliola, formaggio, latte, yogurt, verdura, tonno e pollo. Ma se il nostro onnivoro acquista prodotti bio (anche carne e latticini, non solo vegetali) il punteggio scende a 1,36. Resta invariato l’ordine di colpevolezza, ma si risparmiano guai all’ambiente persino rispetto al vegetariano che consuma prodotti non bio.
Questo comportamento, infatti, corrisponde a uno score di 1,56; al primo posto tra gli alimenti più nocivi (sempre nel senso che produrli consuma risorse e inquina) vi sono ora i formaggi. Si scende a 1,03 punti per il vegetariano bio, a 0,854 se la scelta è vegana ma non attenta al biologico e a 0,599 per il vegano bio. Dall’analisi delle due diete vegane emerge che la verdura è l’alimento a maggior impatto ambientale quando sono stati impiegati pesticidi e fertilizzanti chimici; il riso, nel menu vegano da agricoltura biologica. E adesso è il turno dell’italiano medio, con un menu normale di prodotti non bio. Il punteggio totale raggiunge la belleza di 5,75 punti. Ovvero: un impatto quasi dieci volte superiore a una dieta vegana bio, e oltre due volte a quella dell’onnivoro che segue una dieta equilibrata.
EMERGENZA ACQUA
Da cosa dipende l’impatto dell’alimentazione sull’ambiente? "Il consumo d’acqua è l’elemento più importante: il 41-46% del totale", risponde Tettamanti. "Non dimentichiamo che il 70% dell’acqua del pianeta è consumata da zootecnica e agricoltura, il 22% dall’industria e solo l’8% serve per uso domestico". C’è poi un 15-18% d’impatto dovuto ai danni alla respirazione causati da composti chimici inorganici e un 20-26% dal consumo di combustibili fossili. Entrambi sono dovuti ai processi di lavorazione, produzione e trasporto degli alimenti. Lo spreco energetico è eclatante: per ogni caloria di carne bovina ne servono 78 di combustibile; per una di latte, 36. Per contro, per ogni caloria derivata dalla soia si consumano solo due calorie di combustibile.
Circa il 5-13% dell’impatto della nostra dieta sull’ecosistema è dovuto al consumo del territorio. Ogni anno scompaiono 17 millioni di ettari di foreste tropicali. Gli allevamenti intensivi non hanno tutta la colpa, ma fanno la parte del leone. Come in Amazzonia, dove l’88% dei terreni disboscati è stato adibito al pascolo. O in Brasile, dove l’Istituto di ricerca spaziale documenta una crescita della deforestazione pari al 40%: in soli dieci anni, il Paese si è giocato un’area verde grande due volte il Portogallo. E l’Onu stima che il 70% dei terreni oggi adibiti a pascolo sia in via di desertificazione.
Infine, il 3-4% è dovuto ai processi di acidificazione (di acqua, suolo e foreste) ed eutrofizzazione (proliferazione abnorme di alghe). La colpa è sopratutto delle deiezioni animali. Solo in Italia, gli animali da allevamento producono 19 millioni di tonellate all’anno di escrementi che non possono essere usati come fertilizzante. Avremmo la stessa quantità di deiezioni inutilizzabili e inquinanti se l’Italia avesse 137 milioni di abitanti in più. "Ci sono dunque diete che aiutano l’ambiente, come quella vegana e vegetariana bio, e ve ne sono altre accettabili, come l’onnivora bio e la vegetariana non bio". E ci sono invece regimi alimentari ambientalmente (e socialmente) inacettabili: quello dell’italiano medio e dell’onnivorio bilanciato che portano in tavola prodotti da agricoltura e allevamento intensivi. Sfruttano le risorse dei Paesi più poveri, consumano, inquinano e causano deforestazione e desertificazione. Di quale gruppo vogliamo far parte?
di fede53