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IL GIUDICE TOSTI: ENNESIMA VITTIMA DELL’”INQUISIZIONE DEL CROCIFISSO”
Publie le lunedì 27 febbraio 2006 par Open-PublishingDazibao Giustizia Religioni Governi Carmelo R. Viola
di Carmelo R. Viola
Pochissimi italiani sanno delle grottesche vicende giudiziarie del Giudice Luigi Tosti, magistrato monocratico ordinario con funzioni civili e penali (GIP e GUP supplente) presso il Tribunale di Camerino (Macerata). Dicevamo “pochissimi” perché i cosiddetti massmedia (alias mezzi di comunicazione di massa, che vanno dalla carta stampata alle emittenti radiotelevisive) non costituiscono più il temibile “quarto potere” di una volta, capace di mettere in difficoltà i supremi responsabili della “cosa pubblica” (come dire il potere politico) e, nel caso nostro, guarda caso, è la sedicente “patria del diritto”, oggi “laica in teoria”, ma un’industria privata con molteplici aziende, quasi tutte finalizzate alla produzione di profitti che, per ovvio motivo di successo - sempre salve le rare eccezioni - si adeguano all’andazzo politico e quindi dicono o non dicono, e in questo o in quel modo, quanto è compatibile con la loro effettiva ragion d’essere. La vera libertà di stampa è esercitata da pochi “romantici” e la loro voce è sommersa dallo schiamazzo dei grandi mercanti.
Il caso Tosti è uno di quelli che dovrebbero essere presenti nelle prime pagine dei quotidiani e accendere gli animi e le coscienze, prima e più degli ormai abitudinari giochi olimpici perché è in gioco non una banale vertenza individuale ma la dignità di una nazione.
Io non sono un avvocato nel senso “tecnico” della parola ma mi onoro di esserlo da sempre in quanto difensore di ciò che ritengo giusto, in primis della logica, che è scienza della ragione (filo conduttore dell’intelligenza) e quindi dei diritti naturali come tali, della loro traduzione nei molteplici diritti civili (non necessariamente legalizzati) e della coscienza che, in maniera impellente, esprime tutto questo, ben convinto che legale non è sinonimo di legittimo! Perciò, mi esprimo in maniera non tecnica (che è, come vedremo più avanti, spesso sofistica giuridica che avrebbe mandato in bestia il saggio Socrate) ma linearmente logica, con una dialettica con cui ritengo (mi si perdoni l’autoattribuzione) di potere frantumare qualsiasi ipocrita stratagemma “legiforme”, vuoto di contenuto specifico quanto sovraccarico di prosopopea parolaia abusiva e grottesca.
Del caso Tosti si sa poco perché il sistema-regime vuole che si sappia poco - meglio se nulla - la massa (proletariato compreso con buona pace di Marx) essendo soltanto chiamata a “consumare” i prodotti del fast food americano, le auto della Fiat, a pagare le cento bollette dei servizi e a sostenere le menzogne di un paese ad autonomia nominale, stretto fra due sanguisughe: gli Usa, da un lato, il Vaticano, dall’altro.
Ordunque, l’onesto e coraggioso Luigi Tosti ha ritenuto insopportabile continuare ad operare sotto il crocifisso, simbolo di una religione che da venti secoli obnubila ed opprime il mondo. Ciò sia detto nel rispetto di qualche umile e ingenuo operatore, che ha effettivamente dedicato la propria vita ad una creduta missione di bene. Tale religione dapprima racconta la favoletta di un Dio solitario, venuto fuori non si sa da dove, divenuto padre non si sa come che - infinitamente buono! - sacrifica l’unico figlio facendolo rinascere sulla terra dopo nove mesi di vita intrauterina, e morire fra le atroci sofferenze della croce, per redimere un’umanità che non è stata ancora redenta. (Va chiarito che con la voce religione non s’intende la naturale religiosità - presente anche in un ateo - ma la “ideologizzazione e istituzionalizzazione” di un sentimento o credo religioso). La mostruosamente sadica persecuzione romana sacrificò autentici innocenti ma rafforzò l’idea della missione divina. Da simbolo di supremazia bellica, la croce diverrà emblema del potere teocratico della Santa Inquisizione, delle Crociate e delle numerose spedizioni punitive contro eretici, ebrei, false streghe e sètte cristiane combattute dalla Chiesa. In nome del crocifisso, ostentato alle vittime come scettro di onnipotenza, sono state torturate e bruciate vive migliaia e migliaia di vittime innocenti anche in solenni manifestazioni pubbliche, sono stati costretti a giurare contro la propria coscienza i vari vecchi ed ammalati Galilei e brucati vivi con la mordacchia i vari Giordano Bruno - tanto per richiamare qualche tratto saliente del sadico terrorismo del cattolicesimo. In altre parole, il crocifisso, già diseducativo per sé stesso (per l’immagine di un uomo inchiodato su una croce), evoca una serie fra i crimini più psichiatricamente orrendi e raccapriccianti della storia del genere umano.
Contro tale simbolo è insorto il giudice Tosti dando ascolto alla voce della coscienza e alla dignità dell’uomo degno del proprio nome rispetto alle varie specie animali e all’antropozoo (che è l’adolescente della nostra specie). Il Tosti ha chiesto che, stante il regime di laicità, il crocifisso venisse doverosamente rimosso da tutte le sedi del potere giudiziario rifiutandosi di operare in un’aula appositamente privata del crocifisso perché tale ambiente avrebbe avuto il valore di un “ghetto”. Con il decadimento del cattolicesimo come religione di Stato, questo è diventato laico a tutti gli effetti e la prima conseguenza ovvia sarebbe stata quella di rimuovere il crocifisso, simbolo di quella religione, da tutti i luoghi pubblici, a partire da quelli deputati all’amministrazione della giustizia davanti alla quale sono chiamate a comparire - e a giurare! - persone di fedi religiose diverse o magari semplicemente di nessuna. Si tenga conto che da parte cattolica si pretende di rappresentare il vero e solo cristianesimo mentre esistono una serie di cristianesimi di cui il cattolico è il solo in questione.
Il giudice Tosti è disposto a tollerare il crocifisso se non è l’unico simbolo abilitato all’ostensione pubblica: avendo legittimamente abbracciato la fede giudaica, ha proposto, in alternativa, che accanto al crocifisso venisse esposta la menorà ebraica Ma anche questa ragionevole proposta gli è stata respinta.
Il Tosti ha adito tutti i livelli della giustizia. La sua “memoria difensiva” dell’udienza dibattimentale del 18 novembre 2005 è un autentico capolavoro di dialettica condotta magistralmente attraverso i meandri di un meccanismo giuridico e giurisprudenziale, che sembra fatto apposta per confondere le idee ai non “addetti ai lavori” come se questi non fossero i cittadini utenti del servizio giustizia, ovvero l’intero popolo in nome del quale vengono emesse le sentenze. Contro l’innominabile sofistica di chi è chiamato a dirimere le controversie da un posizione posta al di sopra delle parti, ma, nel nostro caso falsata anche da un indebita ingerenza del Ministro della Giustizia, il cittadino Tosti approda alfine, anzi immediatamente, alla Corte Costituzionale con un ricorso datato 25 novembre 2005, in cui mette in evidenza i vari pronunciamenti da cui risulta senza tèma di smentita la categorica laicità dello Stato italiano e insieme la totale inammissibilità dell’ingerenza del Ministro della Giustizia nell’ “imposizione coattiva del crocifisso, così ledendo, violando e calpestando i sacrosanti princìpi costituzionali, esplicitando come tale ministro non abbia alcun potere legittimo di imporre ai giudici “simboli ideologici partigiani”.
Riepiloghiamo. Il caso scoppia il 9 maggio 2005, giorno in cui il Giudice Tosti si rifiuta di tenere udienze per l’omessa rimozione del crocifisso. Dopo quasi cinque mesi inoltra lettera al Ministro Castelli e alla Corte dei Conti affermando che “i cittadini hanno diritto nella loro qualità di contribuenti, di non vedere sperperato il proprio denaro” e invitando l’Amministrazione della Giustizia a rimuoverlo dalla Magistratura e a sospendergli lo stipendio. Successivamente il Tosti si è rivolto anche al Presidente della Repubblica anche per chiedergli l’invio di un certo numero di suoi ritratti da esporre laddove campeggiava il solo crocifisso.
Intanto si sono sovrapposti due eventi:
1 - il giudice Tosti è stato condannato dal Tribunale dell’Aquila a sette mesi di reclusione e, dalla sezione disciplinare del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) alla sospensione dalle funzioni e dello stipendio (provvedimenti che, del resto, lo stesso “imputato” aveva chiesto);
2 - il Consiglio di Stato (sintetizziamo), in risposta ad una cittadina finlandese, che si era opposta all’esposizione del crocifisso nell’aula scolastica frequentata dai suoi figli, ha emesso (sentite! sentite!) una sentenza secondo la quale “per credenti e non credenti la sua esposizone sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti” (....) “In tal senso - sottolinea il Consiglio di Stato - il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte laico, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni” (15 febbraio 2006).
Ciò che mi viene in tutta spontaneità di dire è che tale discorso è un monumento di sofistica, che si fa gioco della logica, della storia, dell’intelligenza dei cittadini e della dignità del paese. La valutazione immediata è che si tratta di “uomini” soggettivamente legati agli interessi del Vaticano che, salvo errori, è anche uno Stato e quindi un potere politico. Dal modesto livello della mia autorità di studioso e di sociologo con sessant’anni di onorata attività creativa e pubblicistica mi permetto di dire che l’esposizione del crocifisso NON È IN GRADO di rappresentare niente all’infuori di quanto abbiamo già detto e che tale sentenza è totalmente destituita di ogni fondamento logico e scientifico. Mi piace riportare il giudizio della nota scienziata Margherita Hack che “il nostro paese sta diventando multireligioso e multirazziale” e che “bisogna avere rispetto della Costituzione secondo la quale tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione” e che “se lo Stato è laico, tutte le religioni hanno diritto di propagandare il loro credo e a creare luoghi di culto, ma nei luoghi pubblici non devono esserci simboli religiosi. Altrimenti non è più laico”.
Per finire, se l’art. 21 della Costituzione non è stato ancora per caso abolito, finisco di esprimere le mie valutazioni non senza prima citare l’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, autore di un disegno di legge secondo cui, considerando che “per l’assunzione della qualità di magistrato e per la permanenza in carriera debbono essere richiesti un particolare equilibrio mentale e specifiche attitudini psichiche”, qualunque magistrato può essere sottoposto a “un esame psichiatrico e psico-attitudinale” su iniziativa del Ministro della Giustizia, del Consiglio Superiore della Magistratura, del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione o di un Procuratore generale presso una qualunque Corte di Appello.
Secondo me, norme di giustizia, trattate alla stregua di “elastici”, come han fatto i “lavoratori” del Consiglio di Stato, contraddicono totalmente alla certezza del diritto e al diritto stesso. Infatti, se una norma può dire tutto e il contrario di tutto, non è più una norma: è un flatus vocis ovvero una “lavagna su cui ognuno scrive quello che gli pare” (come diceva Feuerbach riferendosi a Dio). Lo Stato italiano o è laico o non lo è. Se è laico hanno ragione il giudice Tosti e la mamma finlandese; se non lo è ogni questione cade. Poiché lo è, hanno torto tutti coloro che, sfoggiando una sofistica onnivalente, finiscono per offendere la stessa lingua e sé stessi. La cosa più benevola che paradossalmente si possa pensare di costoro è che siano affetti da ignoranza specifica e quindi non è offensivo invitarli a studiare la logica, la storia e l’etimologia ma anche a farsi un sincero esame di coscienza: solo allora si accorgeranno che laicità significa - guarda caso - laicità e diritto diritto, non quello che a loro fa comodo di dire per difendere e non offendere la loro professione religiosa e quella lavorativa.
Solidarizzo totalmente con l’ex giudice Tosti e con la offesa e delusa mamma finlandese e auguro loro di vedere presto affermata la oro ragione che è quella dei giusti e di un paese non più oppresso dall’Inquisizione del Crocifisso di infausta memoria. Dato che la presenza del crocifisso solleva la protesta di chi ha una ragione per non accettarla, è provato che esso finisce per avere, per i non cattolici, una funzione discriminatoria, inquisitiva e persecutoria!