Home > D’Alema e Fassino : Marco Travaglio scrive a Beppe Grillo

D’Alema e Fassino : Marco Travaglio scrive a Beppe Grillo

Publie le sabato 7 gennaio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Partiti Marco Travaglio

di Marco Travaglio

“Caro Beppe,
non sono d’accordo con la distinzione che fai tra D’Alema e Fassino. In attesa che i magistrati stabiliscano chi e come abbia eventualmente violato leggi, già sappiamo (dalle intercettazioni segrete, ma pubblicate dal Giornale) che Fassino non diceva la verità quando assicurava che a Consorte s’era limitato a chiedere informazioni senza intervenire nella scalata di Unipol a Bnl.
Oltre a informarsi, dimenticava di informare Consorte che quel che gli stava raccontando ­ il “concerto” fra Unipol e i suoi alleati occulti, prim’ancora di lanciare l’Opa obbligatoria per legge ­ era un reato.
Insomma partecipava sentimentalmente all’operazione, consigliava, tifava (“Siamo padroni di una banca... Portiamo a casa tutto...”).

Esattamente come faceva il tesoriere del partito Ugo Sposetti, in evidente crisi di identità (“Noi dell’Unipol...”).
Vedremo, se e quando uscirà la sua parte di chat line, che cosa diceva
D’Alema.

Purtroppo, come mi capitò di dire il 14 gennaio 2004 all’assemblea dei
girotondi (l’intervento integrale è sul sito www.marcotravaglio.it), al
vertice dei Ds siedono personaggi che vengono da lontano e che non
hanno mai voluto fare i conti con Tangentopoli. Cioè con quanto era
emerso di almeno politicamente e moralmente rilevante dai processi di
Mani Pulite.

Fassino, come hai giustamente ricordato, è torinese. Anche Primo
Greganti, condannato tre volte (ora per corruzione, ora per
finanziamento illecito) per aver foraggiato il Pci-Pds, è torinese. E
chi era l’esponente più in vista del Pci-Pds torinese?
Penalmente su Fassino non è mai emerso nulla. Ma politicamente? Nel
2000, quand’era ministro della Giustizia, Fassino propose ­
testualmente - di “depenalizzare i reati finanziari”, compresa la
bancarotta. Che gli era saltato in mente?

C’è una storiella che ho raccontato alla manifestazione anti-Tav:
quella dell’ipermercato “Le Gru” nel comune rosso di Grugliasco. Il più
grande ipermercato d’Europa. Lo costruirono le coop rosse per conto
della francese Trema e dell’Euromercato (prima Montedison, poi Standa
cioè Berlusconi).

Il faccendiere Alberto Milan confessò di aver pagato tangenti a
politici locali, fra cui due sindaci comunisti, Ferrara e Bernardi.
“Se Bernardi ha preso tangenti, io sono un cretino”, dichiarò
solennemente l’allora segretario provinciale Sergio Chiamparino. Due
giorni dopo Bernardi confessò. E alla fine venne fuori che il
segretario autoproclamatosi “cretino” aveva avuto dal faccendiere un
gentile omaggio: un telefonino cellulare.
Ma venne fuori che dell’affare Le Gru si era interessato anche
Greganti, insieme al suo quasi-socio Aldo Brancher, allora braccio
destro di Confalonieri, oggi deputato di Forza Italia e sottosegretario
alle Riforme Istituzionali (quello indicato dalle carte dell’inchiesta
milanese come il collettore dei versamenti di Fiorani & C. ai politici
del centrodestra). E anche Fassino.

Nel 1993 il presidente di Euromercato Carlo Orlandini disse ai giudici
di aver incontrato nel 1989 Fassino, allora segretario provinciale del
Pci, per parlare del progetto Le Gru. E, subito dopo l’interrogatorio,
mandò un fax a Fassino per dirgli quel che aveva dichiarato ai giudici.
Che bisogno aveva di fare quel fax violando il segreto investigativo? E
che c’entrava il segretario di un partito con un ipermercato?

Qui non c’è niente di penalmente rilevante. C’è qualcosa di forse più
grave: una concezione vecchia e malata della politica, che non riesce a
distinguersi dagli affari.
Di penalmente rilevante c’è invece la vicenda dell’on. Cesare De
Piccoli. Nel ’93, quand’era europarlamentare del Pds eletto a Venezia,
di osservanza dalemiana, venne inquisito da Di Pietro per una mazzetta
della Fiat: 200 milioni su un conto svizzero denominato “Accademia”.
Chiese al giudice di essere assolto, ma ottenne solo la prescrizione: i
soldi li aveva presi, il reato c’era tutto (finanziamento illecito), ma
per sua fortuna era trascorso troppo tempo. Subito dopo D’Alema lo
promosse sottosegretario del suo governo, e guardacaso proprio
all’Industria. Ultimamente è passato a Fassino, che l’ha eletto capo
della sua segreteria. Ora è responsabile del settore economia e
industria del partito. Lui di industria sì che se ne intende. O almeno
di Fiat.”