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Cento anni fa nasceva Samuel Beckett - Celebrazioni teatrali per l’intera stagione
Publie le sabato 28 gennaio 2006 par Open-PublishingTrittico Beckett per Krypton
di G. CAP. SCANDICCI (FI)
Cento anni fa nasceva Samuel Beckett, uno dei massimi inventori e scrittori della scena del novecento. È l’occasione non solo per le celebrazioni, che culmineranno ad aprile nel giorno della ricorrenza esatta, ma anche per fare un punto sul suo teatro. Giancarlo Cauteruccio, col suo gruppo Krypton, ha da tempo trovato nel drammaturgo irlandese un interlocutore privilegiato, da rileggere in modo peculiare e personalissimo, magari usando il proprio accento meridionale o, come accadeva nell’edizione dello scorso anno dell’Ultimo nastro di Krapp, con un piatto di spaghetti preparato in tempo reale, quasi un rito collettivo e sacrificale da consumare col coinvolgimento del pubblico.
Ora a Beckett Cauteruccio dedica l’intera stagione del Teatro Studio di Scandicci di cui è direttore artistico, con ospitalità di riguardo (da Remondi e Caporossi al Godot di Bacci contestato dagli eredi Beckett, perché Vladimiro e Estragone sono interpretati da due donne, per di più gemelle), convegni e serate d’onore. Il tutto inaugurato nei giorni scorsi da un Trittico che della scrittura beckettiana è molto rappresentativo.
Sulla scena ginnica e circense (ma forse anche da laboratorio medico-analitico) inventata da André Benaim, Fulvio Cauteruccio interpreta l’Atto senza parole, controllato e registrato da un assistente/domatore. Pesi, scatole, taniche salgono e scendono condizionando e scandendo quasi, lo sforzo atletico dell’attore. Unico suono dato appunto da respiro e battiti cardiaci, da urti di oggetti e soffi amplificati da un sensore.
Poi, nel buio più cupo, assai lontana, la bocca, soltanto essa visibile, di Monica Benvenuti ci riporta ad un altro classico, Non io. Con uno sfalsamento violento di prospettiva per chi ricorda le labbra in fibrillazione di Laura Betti in primo piano, tanti anni fa, l’attrice ci porta nell’andamento sinusoidale di quel fraintendimento, di quella responsabilità cercata, di quell’identità tutta costruita in negativo. Una concentrazione attorno alla scrittura dell’autore, che si compie lentamente con adamento circolare, e che esplode nel subito successivo Ultimo nastro di Krapp.
Senza più cucina e pastasciutta, Giancarlo Cautteruccio si prende il primo piano, frugando con parole e mugugni in quella memoria «sfondata», in quelle scatole uguali e consunte dove giacciono nastri come brandelli di una impossibile memoria, e quindi di vita. In cento minuti, quella che si compie è quasi un’unica variazione sul tema Beckett, fatta da attori diversi, che unitariamente fruga dentro l’identità ancora da approfondire del grande scrittore.
[-http://ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/27-Gennaio-2006/art112.html]