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Bertinotti vede il rischio del centrismo: "La borghesia lo vuole, noi siamo l’argine"
Publie le giovedì 13 ottobre 2005 par Open-PublishingDazibao Elezioni-Eletti Partito della Rifondazione Comunista Parigi Rina Gagliardi Primarie
di Rina Gagliardi
Il voto delle primarie dell’Unione, ormai imminente. Il mutamento della legge elettorale - la nuova legge-truffa voluta dal centrodestra - anch’esso ormai forse imminente. La finanziaria che mette alla prova l’opposizione sociale e politica, L’avvio di una campagna elettorale che durerà sei od otto mesi.
L’inedito equilibrio che si va definendo in Europa, a partire dal governo tedesco di "Grosse Koalition" della signora Merkel. Ce n’è abbastanza, in Italia e nel teatro europeo, per rendere queste settimane, queste giornate, del massimo rilievo politico - per cominciare a tracciare bilanci, speranze, auspici, previsioni politiche. Ma anche per cominciare a capire qualcosa che forse si muove nelle profondità del Paese, ben oltre la superficie e le stesse inesorabili leggi formali della politica.
Così, se si rivolge a Fausto Bertinotti la prima e la più ovvia delle domande - "Come va? Come sono andate le tue primarie"? - il segretario di Rifondazione dà una risposta relativamente sorprendente: «Non ho mai vissuto una campagna elettorale umanamente così intensa». Dove la chiave sta nell’avverbio, «umanamente», e nel rinvio alla vera novità di questo grande giro d’inchiesta, fra i treni dei pendolari, le fabbriche in lotta, le università in sciopero, le piazze piene di gente preoccupata perché non ce la fa più ad arrivare alla fine del mese: la comunicazione, il rapporto diretto, il circolo virtuoso che di colpo si è stabilito tra una proposta politica, e una comunità sociale.
Non era scontato, dice Bertinotti, cercando di spiegare - e di spiegarsi - la diversa qualità degli incontri realizzati nel corso della campagna: qualcosa di diverso dai comizi di grande successo, ai quali per altro è abituato da anni. «Emerge il bisogno di parlare, e di parlare di politica, con la tua soggettività piena - coinvolta - con la tua vita quotidiana, i tuoi bisogni, i tuoi problemi che c’entrano, fino in fondo». Siano essi quelli degli operai dell’Italtel, o dei giovani studenti senesi, o dei pendolari di Corbetta, a due passi da Milano, che hanno diffuso, per accogliere il candidato Bertinotti, un originale volantino ("Per fare una parete bianca, ci vuole un parlamentare rosso"). Insomma, è come se un pezzetto d’Italia avesse scritto, in questo periodo un grande post-it collettivo: «Come se si fossero rotte delle paratìe, come se si manifestasse una soggettività politica diffusa, densa, per altro, di calore e di sentimenti, che nei partiti, o nel partito, non riesce ad esprimersi».
Vogliamo dire che si è manifestata la possibilità di un’uscita da sinistra dalla crisi della politica? Da sinistra, cioè verso esiti potenziali di natura collettiva, corale, trasformativa. Non è detto, certo, se e quanto tutto questo si tradurrà in una cifra consistente, "adeguata". Non è detto, cioè, che la novità sociale e culturale - anche di massa - si esprima compiutamente fin nei seggi, nell’atto formale del voto, nella scelta di un candidato: i meccanismi elettorali sono notoriamente complessi, e determinati da fattori (come i grandi numeri) non riducibili alla "nuova domanda di politica" che emerge dalla società italiana.
Anche per questo, sempre - e domenica prossima - «il voto è una grande sfida», dice Bertinotti. Si tratta di definire un connotato decisivo dell’Unione: se e quanto è in grado di aprirsi, appunto, ad istanze che sono sì radicali e di sinistra, ma vanno perfino oltre. Oltre che cosa? «Non voglio ridurre questo processo creativo, anzi questa vera e propria sperimentazione, ad una sintesi precoce. Avverto una possibilità che è reale e non piccola: una radicalità che investe l’idea stessa della rappresentanza, il rapporto tra la soggettività comunitaria e la Grande Politica, la possibilità di avviare un ciclo di ricomposizione che non passa per i legami ideologici tradizionali. E’ meglio fermarsi, per ora, sulla soglia di tante narrazioni, intense e coinvolgenti. Sono loro che intanto confermano la validità di questa scelta e di questa sperimentazione».
In sostanza, tra le primarie, così come sono state percorse, e la strategia politica di Rifondazione comunista non potrebbe esserci nesso più organico: la stessa logica, come si diceva qualche anno fa, di unità e radicalità. La stessa sfida di tenere insieme la battaglia per un governo di svolta, e la costruzione di un’altra sinistra. E la stessa ambizione di "starci", essendo chiaro che il tuo "star-ci" non è mai statico, ma sempre rinvia a qualcosa che "non ci sta" - magari sta fuori delle compatibilità - e che potrebbe prima o poi o starci, o comunque definire un terreno più avanzato, più conflittuale, più contraddittorio. Un’idea della politica che non è, nient’affatto, la riedizione del vecchio rapporto tra tattica e strategia, o il percorso dei due (o tre o quattro o enne) tempi, o la necessaria commistione di sapienza strategica e furbizia quotidiana: è, se si può usare un ossimoro, il tentativo di praticare, oggi e domani, un "ordinato disordine" dell’esistente.
Così, il Bertinotti che si presenta alle primarie non solo scombina completamente le intenzioni di chi, consapevolmente o no, le riduceva ad un rito scontato, ma attiva una potenzialità di sinistra che altrimenti sarebbe rimasta sotto traccia. Così Rifondazione comunista che partecipa all’Unione, quasi come una pregiudiziale, ne combatte positivamente la tendenza a trasformarsi, di fatto, in una mera alleanza elettorale "antifascista" e antiberlusconiana, che tutto riduce al minimo comun denominatore del cacciare la destra dal governo del paese. Né l’uno né l’altro, cioè, possono rinunciare alla prerogativa essenziale: l’autonomia politica e strategica. Inevitabile, qui, soffermarsi sul dibattito politico-elettorale di questi ultimi giorni: la richiesta esplicita fatta al Prc di rinunciare a presentare - al Senato - le proprie liste e di entrare a far parte di un maxilistone, l’intera Unione.
Abbiamo cortesemente detto: no: Per puro interesse di partito? «No, per noi non è una questione di resistenza o di sopravvivenza: è un ragionamento politico di fondo. Nel progetto di Rifondazione, i lati sono due: un governo di svolta, cioè la sconfitta del centrodestra, e la costruzione della Sinistra Alternativa. L’uno non vive senza l’altro». Ancora un nesso stringente, ancora un’opzione "organica". «Certo, per il nostro progetto politico generale di trasformazione è essenziale, ovvero è un passaggio obbligato, la sconfitta del centrodestra e delle politiche neoliberiste. Ma se ci annullassimo in un puro cartello elettorale, magari contrattando un buon numero di spazi o di posti, rinunceremmo, non solo simbolicamente, proprio a quel progetto strategico. Ne riveleremmo il carattere secondario, subordinato: questa è la ragione del nostro "no", non certo un improvviso sussulto settario».
Ma perché, nelle forze di centrosinistra, ci si affanna tanto sulle tattiche elettorali del futuro? E’ l’effetto della nuova legge elettorale così detta proporzionale, o c’è qualcosa di più? No, come spesso succede, nei meccanismi concreti - e perfino nella piccola politica quotidiana - si manifestano tendenze ben più di fondo. Questa faccenda elettorale, dice Bertinotti, non va vista soltanto nel contesto italiano: è dentro, in realtà, ad una tendenza europea, più generale. Quale tendenza? «Il neocentrismo. La Grande Coalizione, che già è all’opera in Germania e produce i suoi effetti divisori tra i socialisti francesi. Un mutamento della politica che coinvolge tutta la borghesia europea. Riassumiamolo, questo mutamento, per grandi linee: lo schema più adeguato alle politiche neoliberiste era quello dell’alternanza, dice Bertinotti. Due schieramenti che si alternano al governo, facendo in sostanza la stessa politica, e soprattutto la stessa politica economica. Ma l’alternanza funziona - forse - solo quando all’interno della società non si manifestano veri conflitti, movimenti reali, domande radicali: quando questo è successo, come è successo in tutta Europa, da Genova in poi, quello schema è andato in crisi. Non funziona più, non stabilizza i governi, non produce sviluppo».
E quindi? «Quindi le classi dominanti - che dovrebbero rivedere la loro opzione neoliberista, ma continuano invece a riproporla, forse anche perché non ne conoscono un’altra - cambiano schema politico: basta con il bipolarismo, è l’ora del Grande Centro. Chiamalo come vuoi, le forme possono essere le più svariate, ma la filosofia è la stessa: offrire alle politiche di destra, dalla flessibilità alle privatizzazioni, una base politica ampia - la Grande Coalizione. Così la sinistra viene tendenzialmente tagliata fuori, o marginalizzata, o resa comunque meno efficace». In Italia potrebbe succedere? Bertinotti non lo esclude, anche se naturalmente sa che allo stato attuale è molto complicato, per tutte le forze coinvolte. «Per esempio, si dice che Montezemolo stia oscillando verso il centrodestra. Io penso che non sia questo il problema: ma che Confindustria, al di là dei suoi apparenti pendolii, si proponga come una calamita ai due schieramenti, non all’uno e all’altro». Diventano più comprensibili, perciò, le sofferenze dell’Unione: se questo è il progetto sul quale lavora la borghesia italiana, è vero che a farne le spese rischiano di essere sia Romano Prodi sia, soprattutto, i Democratici di sinistra: il primo perché la sua leadership è legata per nascita al maggioritario ("non a caso ha dichiarato, il Professore, che "morirà maggioritario"), i secondi perché rischiano di dover scegliere, tra una prospettiva neocentrista e un nuovo ancoraggio a sinistra che in ogni caso li dividerebbe.
E allora? Allora, grazie a Rifondazione comunista, e alla sua esistenza, questi complessi processi della politica possono non richiudersi nelle stanze della politica, e ridursi a mere operazioni di partiti. Torniamo alle primarie, al voto di domenica. «Qual è il nostro vero tentativo? Dislocare tutti questi problemi su una base diversa: oltre le segreterie e le leadership, all’interno del popolo elettore. Un soggetto che può scombinare, se vuole, tutti i calcoli, ma ridando fiato e senso alla politica, alla sinistra». Sì, dice Bertinotti, «per uscire dalle trappole della legge elettorale e delle contraddizioni che la destra sta rovesciando sull’Unione, c’è una sola terapia davvero efficace: l’unità di popolo». La sinistra che reinventa e si reinventa - a cominciare da domenica sera