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BERTRAND RUSSELL: UNA FILOSOFIA PER IL NOSTRO TEMPO?

Publie le venerdì 20 gennaio 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Movimenti Antonio Catalfamo

de Antonio Catalfamo

Credo che si possa dire di Bertrand Russell quello ch’egli disse di Einstein: molti sanno che ha fatto qualcosa di grande, ma pochi sanno quel che veramente ha fatto. A questa ignoranza diffusa si accompagnano le falsificazioni consapevoli. In un’epoca di “inquinamento linguistico”, come la nostra, chi detiene il potere mass-mediatico può facilmente cambiare le carte in tavola, dare un’idea sbagliata del pensiero di un filosofo come Russell.

Alcuni giornali di destra hanno recentemente ristampato qualche sua opera, confondendo il suo liberalismo con il liberismo imperante e strumentalizzando il Nostro come un antesignano della lotta contro il comunismo. Ma Russell è stato un liberal-socialista, un anticapitalista, attento più ai bisogni dei lavoratori che a quelli del padronato.

In un suo saggio, intitolato “Lacune del socialismo” e confluito nel volume “Le idee politiche” (1917), egli, se, da un lato, critica il “socialismo di Stato”, in quanto responsabile di un accentramento che allontana i burocrati dai problemi dei lavoratori, dall’altro lato, si fa fautore di un “socialismo autogestito”, nel quale ogni settore economico è, appunto, gestito direttamente da coloro che in esso operano e che ben ne conoscono le caratteristiche e le problematiche.

Russell considera ancor più pericoloso del potere dei burocrati di Stato quello dei capitalisti, che hanno un interesse esattamente opposto a quello dei lavoratori. Si pensi, poi, alle grandi battaglie condotte dal Nostro per la pace nel mondo, contro l’aggressione americana al Vietnam, in occasione della quale fu istituito il famoso tribunale, a lui intitolato, per processare i governanti degli Stati Uniti per i crimini compiuti nel Sud-Est asiatico.

Questo pacifismo è in aperto contrasto con la politica guerrafondaia portata avanti dal governo Berlusconi in Iraq, in Arghanistan, negli altri Paesi interessati dal cosiddetto “intervento umanitario” dell’Italia, della Nato, degli americani. Si pensi, ancora, all’agnosticismo di Russell, alla sua avversione per tutte le religioni, definite “false e dannose”, alla quale pure si accompagna la massima tolleranza, alla sua “filosofia del dubbio”, che investe la stessa matematica, ch’egli in gioventù aveva considerato infallibile.

Questa sua visione è agli antipodi rispetto all’intolleranza e all’integralismo religioso, predicati dal governo italiano di destra, in piena sintonia con la chiesa cattolica, auspice il presidente del Senato, Marcello Pera, autore di qualche libretto assieme al papa, Benedetto XVI, e di tanti interventi contro l’ “inquinamento della razza” da parte degli immigrati e in difesa della cosiddetta “identità religiosa e culturale” della nazione. Bertrand Russell può essere considerato, inoltre, uno dei massimi rappresentati di quel “relativismo” tanto deprecato dal “papa-inquisitore” in nome di verità dogmatiche ed assolute.

Credo di non poter condividere l’individualismo che domina le concezioni gnoseologiche ed etiche di Russell. Ha ragione Nicola Abbagnano: la filosofia della conoscenza del Nostro è un innesto non troppo riuscito tra l’empirismo di Hume e la metafisica di Leibniz. Dall’empirismo egli ricava la convinzione che la conoscenza umana è fondata sull’esperienza. Ma cade subito nel monadismo leibniziano aggiungendo che tale esperienza è “immediata” e “privata”. Esiste una molteplicità di “spiriti”, ognuno dei quali ha un rapporto “personale” e “privato” con il mondo sensibile, un dominio privato o “egocentrico” dei dati sensibili, una sua “prospettiva”, un suo “mondo particolare”. Le “prospettive” possibili sono infinite e la loro totalità costituisce il “mondo sensibile”.

Ma è facile obiettare che, se a fondamento della conoscenza sta l’esperienza immediata e personale e questa è diversa da individuo a individuo, non è possibile uscire dal solipsismo, cioè dall’affermazione che esisto solo io e che tutti gli altri e tutte le cose sono solo mie idee o rappresentazioni. Il Nostro cerca di superare questa obiezione sostenendo che molte delle nostre conoscenze sono “quasi pubbliche”, in quanto simili a quelle degli altri. Il mondo sensibile non sarebbe allora altro che il risultato, il punto d’incontro delle varie prospettive individuali. Fra l’altro, Russell non fa differenza tra conoscenza comune e conoscenza scientifica: anche quest’ultima sarebbe soggettiva, “privata”.

Il campo della gnoseologia è sicuramente quello nel quale la rinascita del materialismo dialettico in Italia, ad opera di Ludovico Geymonat e di alcuni suoi allievi, ha dato i maggiori risultati. Secondo la scuola geymonattiana, la realtà esiste oggettivamente, al di là della rappresentazione che se ne danno i singoli individui. Contrariamente a quanto sostiene Russell, essa non è il risultato delle “prospettive convergenti” dei vari “spiriti”. Se non esistesse una realtà oggettiva, nella quale è la Terra a girare intorno al Sole - e non viceversa - , noi non potremmo dire che aveva ragione Galileo e torto Aristotele e Tolomeo.

E’ come se esistessero vari livelli di realtà. Un sistema conoscitivo è adeguato a cogliere un livello, ma non quello successivo, che abbisogna di un altro sistema conoscitivo e così via, in un continuo approssimarsi alla realtà oggettiva, senza coglierla mai appieno. La verità scientifica non è, dunque, verità assoluta, bensì relativa, è “processo dialettico asintotico”, per via del continuo approssimarsi dell’uomo ad essa, senza raggiungerla definitivamente. Possiamo, dunque, concludere che, a differenza di quanto si può desumere dalla filosofia della conoscenza di Russell, la realtà oggettiva esiste, è il nostro sistema conoscitivo che è imperfetto.

Sul piano etico il Nostro formula la “teoria dei desideri”. Anche l’etica di Russell è fondata su basi individualiste e soggettiviste, in quanto egli identifica la morale con i desideri di ciascuno. Perciò dire che qualcosa è bene o un valore positivo equivale a dire “mi piace”; dire che qualcosa è cattivo significa esprimere un atteggiamento ugualmente personale e soggettivo. L’intervento razionale serve solo a rafforzare i desideri che possono assicurare la felicità e l’equilibrio della vita e a deprimere o distruggere quelli che configgono con questo fine.

Ma questa posizione è chiaramente contraddittoria: se l’etica ha a che fare esclusivamente con desideri, manca qualsiasi criterio per preferire o far prevalere uno di essi sugli altri. Russell, inoltre, da un peso preponderante alla sfera soggettiva rispetto ai condizionamenti della realtà oggettiva. Scrive ne “Il mio credo”, confluito nel volume “Perché non sono cristiano”(1957): “La natura è soltanto una parte di ciò che possiamo immaginare; ogni cosa, reale o immaginaria, può essere valutata da noi, e non esiste alcun modello esterno che ci indichi se la nostra valutazione è giusta oppure errata. Noi siamo gli assoluti e irrefutabili arbitri del valore, e nel mondo dei valori la natura è soltanto oggetto. Pertanto nel mondo dei valori noi siamo superiori alla natura”.

Russell costruisce un immaginario “mondo dei valori”, nel quale il potere del singolo è assoluto, non tenendo conto dei condizionamenti esterni della morale individuale. Di questi condizionamenti decisivi, soprattutto economici, tiene conto, invece, il marxismo. Per Marx l’etica è condizionata dall’appartenenza di classe. La morale rivoluzionaria del proletariato è fondata su valori come: uguaglianza economica e giustizia sociale, liberazione dallo sfruttamento, soddisfazione dei bisogni di ciascuno. Essi sono contrapposti alle norme della morale borghese, fondata sul profitto ad ogni costo, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sul finto solidarismo sociale. L’etica marxista nasce, quindi, come sistema storico di valori classisti che la strategia politica rivoluzionaria ha il compito di realizzare.

Questa concezione classista è estranea a Russell, che, anzi, accusa il comunismo di seminare l’odio di classe, dimenticando che la divisione in classi della società e lo scontro tra di esse sono esistiti sempre nella storia umana, non sono un’invenzione di Marx, che ha avuto il merito di analizzare scientificamente il fenomeno in funzione della trasformazione rivoluzionaria.

Ma, allora, in che misura l’individualismo di Bertrand Russell può contribuire a delineare una filosofia valida per il nostro tempo? Innanzitutto, nella misura in cui spinge ciascuno di noi a porsi di fronte alla propria coscienza, a coltivare il dubbio, ad alimentare il tanto deprecato “relativismo”; a non identificarsi “tout court” col “branco”; ad assumere un atteggiamento critico nei confronti del patrimonio culturale che pure ci appartiene, per nascita e per formazione, sottoponendolo continuamente a verifica, confrontandolo con quello degli altri popoli; a non contrapporre la nostra cultura e la nostra identità a quelle degli altri, ad avere coraggio di “contaminarle” con esse, senza assumere un atteggiamento di superiorità.

Insomma, a “pensare in maniera impersonale”, cioè a regredire in noi stessi per capirci a fondo ma anche per cambiarci e migliorarci nel confronto vivificante con gli altri. Scrive Bertrand Russell in “Una filosofia per il nostro tempo”(1956): “Quando avremo acquistato l’abito di pensare in modo impersonale, potremo osservare le credenze popolari della nostra nazione, della nostra classe sociale e della nostra setta religiosa, con lo stesso distacco con il quale osserviamo quelle degli altri. scopriremo allora che le credenze nelle quali la gente persevera con la massima fermezza e con la più forte passione sono molto spesso le meno dimostrate.

Quando un grande gruppo di uomini crede in A, e un altro grande gruppo di uomini crede in B, v’è la tendenza in entrambi questi gruppi a odiare l’altro perché crede in cose così chiaramente assurde. la miglior cura di questa tendenza consiste nell’abitudine di regolarsi secondo l’evidenza, e di rinunciare alla certezza di quelle cose delle quali non si ha una prova. Questo si applica non solo alle credenze teologiche e politiche, ma anche ai costumi sociali.

Lo studio dell’antropologia rivela che esiste una sorprendente varietà di costumanze sociali, e che le società possono persistere per abitudini che si potrebbero considerare contrarie alla natura umana. Questa specie di conoscenza è molto utile come antidoto al dogmatismo, specialmente nel nostro tempo, in cui dogmatismi rivali rappresentano il maggior pericolo che minacci il genere umano”.

Credo che siano attuali le considerazioni che fa Russell il merito alle religioni, in particolare nel volume “Perché non sono cristiano”. Egli le definisce tutte “false e dannose”, perché fondate su un presupposto comune: quello di possedere la verità assoluta da imporre agli altri. Così i dogmatismi si scontrano: da una parte si invoca, come ai giorni nostri, la “guerra santa” contro gli infedeli e, dall’altra, le “crociate”.

E si arriva ben presto allo “scontro tra civiltà” - sarebbe meglio dire tra “inciviltà” - e al conflitto armato vero e proprio. Le parole di Bertrand Russell sembrano scritte proprio ora: “La convinzione che è importante credere questo o quello senza ammettere libere indagini, è comune a quasi tutte le religioni, e ispira tutti i sistemi di educazione statale.

Ne consegue che il pensiero dei giovani viene soffocato e indirizzato a una fanatica ostilità contro coloro che hanno altri fanatismi, e, anche più violentemente, contro coloro che a qualsiasi fanatismo si oppongono”.

Per quanto ci riguarda, il nostro compito è quello di impedire che il marxismo diventi, come lo considerava Russell, una “religione”, anch’essa fondata su dogmi e verità assolute. Esso dev’essere un metodo per l’analisi critica della società capitalistica in vista di una trasformazione radicale. Un metodo aperto al confronto con altri metodi, dal quale non può non uscire arricchito.

Messaggi

  • Bertrand Russel:
    "Il mondo necessita di menti e di cuori aperti, non di rigidi sistemi, vecchi o nuovi che siano.

    Karl Popper:
    "La religione ha creato una completa eresia morale: e cioè che è bene credere a determinate cose e male credere ad altre, senza domandarsi se queste cose sono vere o false.
    Se non vogliamo ragionare in circolo, dobbiamo assumere un atteggiamento ‘altamente critico’ verso le nostre teorie. L’atteggiamento consistente nel cercare di ‘confutarle’.

    Russell:
    “I cristiani ritengono che la loro fede sia benefica e le altre dannose. Almeno lo affermano nei riguardi della fede comunista. Ciò che io desidero chiarire è che tutte le fedi siano dannose. Quella che possiamo definire fede è la ferma credenza in qualcosa che non sì può provare. Noi parliamo di fede soltanto quando desideriamo sostituire l’emozione all’evidenza”.

    "L’umanità è diventata come una famiglia che non può assicurare la propria prosperità eccetto che assicurando la stessa a ogni altro. Se tu stesso vuoi essere felice, devi rassegnarti a vedere le altre persone altrettanto felici."

    "Il coraggio del combattente in guerra non è affatto l’unica forma di coraggio. C’è coraggio nell’affrontare la povertà, coraggio nell’affrontare la derisione, coraggio nel costatare l’ostilità della propria gente. Sotto questi aspetti, i soldati più coraggiosi sono spesso vergognosamente carenti"
    Viviana

  • Ho letto sull’ultimo numero de "L’Ateo" l’interessante articolo sul grande Bertrand Russell.
    Purtroppo (a p.13 colonna 2) vi e’ un errore storico la’ dove si parla di "carattere guerrafondaio delle democrazie borghesi": trattasi di un concetto privo di fondamento.

    Infatti l’analisi storica ci dice che durante il XX secolo ci sono state circa:
    200 guerre tra dittature;
    150 guerre tra ditttature e democrazie;
    0 (zero) guerre tra democrazie.

    Del resto e’ logico: sono i dittatori che, da sempre, hanno il potere di spingere i sudditi alla guerra. E’ invece difficile, per un governo democratico, sperare nella rielezione se ha una guerra in programma. Praticamente impossibile, poi, se la guerra e’ da farsi contro un’altra democrazia liberale e rappresentativa.

    Tutto cio’, naturalmente, non si accorda coi dogmi marxisti che, come quelli religiosi, sono duri a morire. Ma la storia se ne infischia delle ideologie.

    Aldo Zullini