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A UN ANNO DA LULA: INTERVISTA A ROSA MARIA MARQUEZ*
Publie le sabato 27 marzo 2004 par Open-PublishingGoverni America Latina Marco Santopadre
*professoressa ordinaria dell’Università Cattolica San Paolo del Brasile, già presidente della Sociedade Brasileira de Economia Politica
(pubblicata sul numero di marzo della Rivista "Nuestra America")
di Marco Santopadre
Qual è il bilancio che si può fare dopo un anno di governo di Lula? Ci sono stati quei cambiamenti radicali invocati prima delle elezioni di Luis Inacio da Silva?
No, affatto. Certo è stata una vittoria storica della sinistra brasiliana e tutta la popolazione vedeva la possibilità di un grande cambiamento perché gli ultimi governi non hanno fatto altro che accentuare le disuguaglianze nel Paese. È stata una grande sorpresa notare che invece il governo Lula ha operato in continuità coi governi precedenti e addirittura accentuando alcune delle controriforme intraprese da Fernando Enrique Cardoso. Lula è riuscito a varare, in tempi da record, la riforma previdenziale per il settore pubblico, introducendo la possibilità di legalizzare i fondi pensione privati che fino ad ora non erano mai esistiti in Brasile.
Con la riforma previdenziale sono stati colpiti soprattutto i lavoratori del settore pubblico, è stato detto che erano dei privilegiati rispetto al resto della classe lavoratrice. La realtà invece qual è?
La nuova riforma è stata incentrata sul settore pubblico perché Cardoso aveva già attuato il taglio delle pensioni del settore privato e quindi, nella logica della strategia neoliberista patrocinata dal Fondo Monetario Internazionale, mancava la riforma del settore pubblico attuata precisamente da Lula, che in tal modo ha buttato a mare 23 anni di storia del Partito dei Lavoratori. Ogni volta che un governo del passato ha tentato di varare tale riforma i parlamentari del PT hanno votato contro. Invece questa volta quei parlamentari del partito che si sono opposti, sono stati espulsi. Stiamo assistendo con molta tristezza al fatto che un lavoratore, un ex metalmeccanico, leader di un partito di massa, è riuscito a realizzare in maniera assai efficiente e autoritaria una politica neoliberista. Questo può portare a una sconfitta gravissima del nostro progetto.
Lula ha già attuato anche un’altra riforma di stampo liberista.
Sì, la riforma del sistema tributario, che è estremamente pesante perché invece di colpire i grandi capitali, di aumentare le imposte sulle grandi fortune, ha semplicemente accentuato il sistema che già esisteva aumentando il volume di risorse ottenute tassando i lavoratori dipendenti e gli appartenenti alle classi medie, gli unici che pagano le tasse nel paese. Adesso Lula sta preparando la terza riforma, quella della regolamentazione delle organizzazioni sindacali e del mercato del lavoro. Si sta andando verso la flessibilizzazione totale della mano d’opera, una condizione già molto comune in Brasile, gran parte dei lavoratori brasiliani non gode di alcun diritto, e quei pochi che sono garantiti, ora saranno gettati in pasto alla flessibilità completa. Queste controriforme non sono una novità, anche tenendo conto di quanto avviene ad esempio in Europa.
Il sostegno a Lula è ancora abbastanza alto come personalità, mentre il sostegno al Governo ormai sta scendendo. Lula continuerà a capitalizzare la simpatia dei brasiliani oppure questa popolarità presto verrà meno?
C’è un estremo scollamento tra l’approvazione nei confronti di Lula come persona e quella del governo che lui presiede. Il "Foglio di San Paolo", un giornale importante del Brasile, ha appena pubblicato un’inchiesta in cui risulta che il Governo gode di un’approvazione definita "ottima" dal 42% dei brasiliani, un tasso di popolarità relativamente buono. La cosa curiosa è che si tratta esattamente della percentuale di consenso al governo precedente, quello di Cardoso, un anno dopo l’insediamento. Ossia in termini di politica governativa non c’è nessuna differenza, ma invece Lula a livello personale può godere ancora del 70% dei consensi. È un leader estremamente carismatico e la popolazione ancora non riesce a comprendere che non esiste una distinzione tra la persona e il governo che guida. Per arrivare a questo ci sarà bisogno ancora di molto tempo. Affinché ciò avvenga occorre che si organizzi un’opposizione, ma non un’opposizione isolata, bensì organizzata.
Prima parlavi dell’espulsione dal PT di alcuni deputati contrari alle riforme varate dal Governo. Si tratta per ora di poche personalità politiche, ma che sembra abbiano già in programma la formazione di un nuovo partito politico della sinistra brasiliana.
In realtà sul tappeto ci sono ben quattro proposte a riguardo. Alcuni deputati come Babà o come la figlia del dirigente del PT Tarso Genro hanno proposto la creazione di un nuovo partito ma non in tempi strettissimi; un’altra proposta che proviene dalla base dello stesso PT va nel senso di recuperarne il programma storico. Un’altra ancora è quella di creare un ampio movimento, presente sia dentro che fuori dal Partito dei Lavoratori, che possa organizzare tutti quei settori che oggi sono disperati e che, ad esempio, stanno scrivendo articoli dove possono contro il Governo, ma senza la possibilità di organizzare la propria opposizione. In particolare vorrei richiamare l’attenzione sull’espulsione di Luisa Helena, e non perché gli altri espulsi abbiano meriti inferiori, ma perché lei è una senatrice con molto seguito. La sua espulsione mi sembra emblematica del fatto che il partito si è chiaramente collocato da un’altra parte rispetto al passato. Sembra di assistere al passaggio di una parte della classe operaia al servizio della classe dominante perché essa stessa è diventata in qualche modo classe dominante.
Ci sono state due forze organizzate che a livello popolare e sociale hanno portato all’elezione di Lula: il potente sindacato CUT e l’MST, i lavoratori senza terra. Oggi qual è l’opinione prevalente in queste due organizzazioni nei confronti della politica del Governo?
Non esagero dicendo che il governo ha in mano tutto il sindacato, perché esistono lacci estremamente stretti tra i membri del Governo e i vari settori che compongono la centrale sindacale. Ad esempio posso citare il ministro della Previdenza che è stato presidente del potente sindacato dei bancari di San Paolo, e che oggi è il più accanito sostenitore della privatizzazione della previdenza. Questo non vuol dire che dentro la CUT non sia già in corso un dibattito, ma comunque è molto difficile che in tempi brevi si possa andare a qualche forma di rottura col Governo, anche tenendo conto che Lula è stato il leader storico del sindacato. Invece la situazione è diversa per i Sem Terra, perché essi non sono necessariamente vincolati alle dinamiche del movimento sindacale. Ciò che l’MST ha fatto è stato un accordo con Lula per sostenerne l’elezione. Ma questo accordo è già stato rotto perché i Sem Terra sono già tornati ad occupare i latifondi chiedendo una reale Riforma Agraria. L’opposizione del MST al governo probabilmente crescerà, ma questo non vuol dire che da qui possa scaturire una proposta politica perché sfortunatamente in Brasile esiste una contrapposizione tra città e campagne. Le classi urbane temono il movimento dei senza terra.
Un altro tema della campagna elettorale era stata la lotta alla fame. Lula aveva promesso di sradicarla attraverso il famoso piano "Fame zero". Oggi qualcuno accusa il governo di aver intrapreso uno sforzo più propagandistico che reale. Cosa ne pensa?
Il programma "Fame Zero" fu lanciato mesi fa in maniera assai roboante. Io, così come altri tecnici, criticai da subito il progetto, perché il piano prevede la consegna di una tessera ad ogni famiglia che permetterebbe l’accesso a una certa quantità mensile di beni alimentari. La nostra critica risiede nel fatto che tutta l’esperienza internazionale accumulata sul tema della lotta alla fame, dimostra che occorre distribuire denaro alle famiglie, scegliendo le madri di famiglia come beneficiarie, perché esse sanno come spenderlo adeguatamente per il sostentamento di tutto il nucleo. Chi ha pensato il piano Fame Zero afferma che i brasiliani "non sanno mangiare"; dobbiamo forse essere noi a dover dire alle persone cosa devono mangiare? Questo è un aspetto. L’altro aspetto riguarda il fatto che il piano in realtà non è mai partito veramente: per mancanza di risorse economiche sia a livello federale che locale, ma anche per la mancanza di coinvolgimento della società brasiliana, coinvolgimento che non c’è mai stato. Oggi ci sono alcune città medio-piccole che ricevono degli aiuti alimentari ma ciò non risolve il problema della fame e della povertà. È chiaro che qualsiasi governo deve intraprendere delle politiche di tipo assistenziale nei confronti della popolazione povera, ma nel caso del Brasile è la maggioranza della popolazione ad essere povera. Occorre operare una riforma strutturale dell’economia affinché essa non continui a produrre milioni di poveri. Naturalmente ciò non vuol dire che nel frattempo dobbiamo lasciare che gli indigenti muoiano di fame.
Abbiamo parlato della politica interna ed economica del Governo Lula: una serie di promesse non mantenute. Lula però, a livello internazionale, gode di un grande apprezzamento da parte dei movimenti popolari e di sinistra, soprattutto del resto dell’America Latina, ma anche in Europa. Lula si oppone all’ALCA anche se con alcune contraddizioni, ha stretto una alleanza con Chavez in Venezuela e una collaborazione con Cuba. Ciò infastidisce assai l’amministrazione USA. Come mai c’è questa differenza tra una politica internazionale in qualche modo di rottura rispetto alla precedente tradizione di alleanza con gli USA e una politica interna improntata al rispetto delle strategie economiche liberiste?
Io non direi che il Brasile in passato sia sempre stato un alleato fedele degli Stati Uniti. Anche all’epoca dei regimi militari, il governo infastidì gli USA stringendo un accordo di cooperazione nucleare con la Germania. È chiaro che il Brasile segue i dettami degli Stati Uniti e non potrebbe fare altrimenti, ma questo non vuol dire che tutti i governi del passato siano stati in qualche modo proni agli USA. I vari governi hanno sempre cercato di negoziare al rialzo la propria collaborazione con Washington. Io direi che al momento di concretizzare la politica che Lula adotta esternamente non rimane nulla, è soprattutto retorica. Dice no all’ALCA, ma il Brasile sta rispettando gli impegni presi in precedenza, è lì che negozia con gli USA sui tempi e i modi dell’ingresso nell’Alleanza Continentale. Se Lula non riesce a portare a casa un certo risultato di tipo economico e sociale all’interno del paese, non può aspirare al ruolo di leader dell’America Latina. Ma questo tentativo si sta rivelando vano. La sua politica di governo ha causato una stagnazione dell’economia: il PIL è cresciuto solo dello 0,2%, la disoccupazione nella città di San Paolo è arrivata al 20,9% della popolazione attiva, la ricchezza delle famiglie in un anno è diminuita mediamente del 15%. Non si può pensare di avere un ruolo "rivoluzionario" all’estero e poi internamente applicare le politiche neoliberiste.
Alcuni movimenti della sinistra europea hanno acclamato l’elezione di Lula come la affermazione di un nuovo modello di sinistra, esportabile anche nel vecchio continente. Cosa ne pensa?
Non esiste un modello "Lula". Quando abbiamo costituito il Partito dei Lavoratori esso nei fatti costituiva un’alternativa. Aveva le sue basi nei sindacati, nei quartieri delle città, aveva cellule in tutta la società e in tutto il territorio. Le cellule si riunivano periodicamente e ciò ha funzionato per molti anni, fino a che, a partire dalle penultime elezioni, questo modello organizzativo è stato stravolto con la moltiplicazione della burocrazia interna professionalizzata. Ci sono interi Stati, come ad esempio San Paolo, in cui i militanti non hanno la possibilità di mobilitarsi, di partecipare. Nelle ultime elezioni non c’è stata quasi partecipazione popolare alla campagna per l’elezione di Lula, i militanti non sono stati impegnati nelle strade e nei quartieri, sono stati utilizzati spesso dei lavoratori stipendiati dal Partito. Poi si è cambiata la bandiera, che storicamente era quella rossa con la stella nel centro. Negli ultimi anni abbiamo visto sostituire il bianco al rosso anche se il giorno della vittoria di Lula centinaia di migliaia di persone hanno sventolato le vecchie bandiere rosse per festeggiare. Non esiste un modello "Lula" valido come alternativa. Occorre pensare al PT come al tentativo di costruire una organizzazione indipendente dei lavoratori che ancora non è stata completamente distrutta, ma che lo sarà se non si restituirà ai militanti e ai lavoratori la possibilità di incidere sulle scelte del partito e del governo